per una crescita libera.
https://www.uppa.it/educazione/montessori/montessori-pikler-lautonomia-e-la-liberta/
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Fermarsi all’apparenza della manifestazione comportamentale del bambino, ci conduce spesso a fraintendere la vera motivazione che lo spinge ad agire.
I bambini, in piena formazione, stanno imparando a dare un nome ai loro sentimenti, ma ancora non sono “esperti”, a volte faticano a riconoscere la rabbia, la noia, la gelosia, la nostalgia, la stanchezza e vestono queste strane emozioni senza nome con comportamenti che conoscono molto bene: “Mamma mi aiuti a disegnare?” può celare una necessità relazionale profonda e non bisogno di aiuto a svolgere l’attività. Potrebbe essere gelosia, il bimbo vorrebbe ricevere lo sguardo della mamma, magari impegnata con un fratellino. Oppure semplice bisogno di affetto e di attenzione.
Questo non significa che non debba riceverne, anzi dovremmo offrirgliene ancora di più e aiutarlo nella lettura dei suoi sentimenti.
Disegnando con lui potremmo dirgli: “Stiamo bene insieme?” “Avevi tanta voglia di fare qualcosa con la mamma?” Dopo qualche tempo potrebbe riuscire a dirci: “Mamma stai un po’ con me?”.
Un bimbo di due anni, ad esempio, abilissimo nel mangiare autonomamente, una sera chiese: “Papà mi imbocchi?”. Il papà, strabuzzando gli occhi, rispose “Ma certo che no! sei bravissimo da solo!”. Il bimbo scoppiò a piangere, smise di mangiare e chiese di essere preso in braccio. Il padre insistette a non aiutarlo, continuando a sostenere quanto il bimbo fosse bravo, grande, autonomo. Ma il problema era proprio questo: essere grande, bravo e autonomo.
Per un attimo voleva essere piccolo, dipendente e impacciato proprio come la sua sorellina di pochi mesi in braccio alla mamma!
Il bimbo ha cercato una modalità comunicativa con cui aveva confidenza (chiedere di essere imboccato) per esprime un’emozione. Era troppo piccino per poter dire: “ Papà sono geloso, voglio anch’io essere piccolo come lei e stare in braccio alla mamma, ma siccome lei è impegnata, non è che mi coccoleresti un po’ tu?”.
Non essendosi sentito compreso, il bimbo scese da tavola, con gli occhi bassi, rassegnato.
Il padre a questa reazione concluse con: “Se non hai più fame, mangerai domani!”.
Come potrà sentirsi il bambino? Cosa può aver compreso da questa situazione?

Giovani Genitori è un portale ed una rivista che si rivolge a mamme e papà, parlando di genitorialità a 360 gradi. Montessoriacasa, poteva mancare??
Uno dei compiti più difficili per genitori e maestre è comprendere quando sia appropriato intervenire nell’attività di un bambino: più piccoli sono più è difficile.
La motivazione che spinge l’adulto ad intromettersi può nascere da svariati sentimenti, ad esempio:
-desiderio di giocare con il bimbo perché non si senta solo
-incapacità di star a guardare il bimbo mentre tenta e non riesce
-senso di colpa per non essere sufficientemente presenti
-desiderio di mostrare “come si deve fare per fare bene”
-desiderio di controllare e dirigere l’agire del bambino
A volte, invece, l’adulto interviene perché il bambino ha chiesto il suo aiuto.
E’ il bambino a doverci guidare nel nostro compito di educatori: voler decidere quando fare cosa e come farlo senza guardare e conoscere il nostro bambino è un impresa quasi impossibile!
Un bimbo di due anni e mezzo ha scelto un puzzle di 20 pezzi per formare un’immagine complicata e molto confusa. La mamma (il papà o la maestra o i nonni o la tata…) sono consapevoli che non può riuscirci da solo, perché il lavoro è obiettivamente troppo complesso. Come ci si deve porre in questa situazione?
Prima di tutto, se reputiamo che un materiale non sia appropriato al livello di sviluppo del bambino non dovremmo lasciarlo alla sua portata (anche se ce lo regalano…) dovremmo conservarlo e metterlo nell’ambiente solo al momento opportuno.
Mettiamo il caso che il bambino sia entrato in possesso di questo puzzle anche se non ancora pronto.
-genitore A: ancora prima che egli apra la scatola, esordisce con: “No, è troppo difficile per te. Dammi che lo mettiamo via.”
-genitore B: prende la scatola e dice: “vieni lo facciamo insieme” e fa il puzzle. Il bimbo osserva.
-genitore C: lascia che il bimbo inizi a fare il puzzle e dopo qualche minuto: “no, non li. mettilo qua. così! giralo….no! E’ sbagliato! prendi questo!”
-genitore D: guarda, un po’ da lontano, il bambino lavorare: aprire la scatola e cercare di trovare due pezzi combacianti. Ad un certo punto il bimbo alza la testa (1 minuto, 5 minuti, 10, 20,… )e dice: “Mi aiuti?” a questo punto il genitore si avvicina e lascia che il bimbo gestisca il lavoro, apportando il suo aiuto solo dove e quando serve.
Spesso l’adulto propone il suo aiuto prima che questo venga richiesto, ma dovremmo ricordare che la fatica, quella buona, positiva, costruttiva non può che arricchire il bambino ed aiutarlo a crescere. Finché non si trasforma in frustrazione il tentare l’esecuzione di un compito difficile, è sano, bello e formativo.
Quando il neonato non riesce a voltarsi sulla pancia e ci prova e ci prova…con tutte le sue forze senza piangere ma con lo sguardo concentrato, non ha bisogno di alcun aiuto, ma solo di tempo e spazio per provarci.
Di fondamentale importanza è però rendersi disponibili quando veniamo richiesti, essere pronti a farci coinvolgere con gioia e tempestività. Decidere di non aiutare per spronare, invece, risulta per lo più controproducente, il bambino si frustra e perde interesse per ciò che tenta di fare.
Aiutami a fare da solo, diceva Maria Montessori: aiutarmi non significa sostituisciti a me, ma dammi quel poco di aiuto quando te lo chiedo perché io possa diventare grande da solo e non sia tu a farmi grande.
L’adulto quando è stanco, ne è consapevole e sa darsi una spiegazione: ho dormito poco stanotte, ho lavorato come un matto, ho esagerato in palestra…. e, di conseguenza, mette in campo delle strategie per gestire la sua stanchezza. Il bambino, spesso incapace di dare un nome a quella strana sensazione che è la stanchezza, si arrabbia non riuscendo a governare con lucidità il suo corpo e il suo pensiero. Ciò scatena una serie di comportamenti disordinati (urla, lancio di oggetti, pianti, aggressività…) dei quali il bambino è in balia.
Una reazione “violenta” dell’adulto non fa che acuire tali manifestazioni ed è solo una risposta calma e ferma che può favorire l’insorgere di pace nel bambino. Un valido aiuto per il genitore è l’acqua, un elemento naturalmente calmante e rassicurante. Ecco allora che proporre al bimbo un’attività con l’acqua può essere una scelta vincente. Allestiamo una bacinella o usiamo il lavandino e proponiamo di lavare delle pentoline o gli animaletti, di travasare con la spugna o anche solo di immergere le mani o i piedi nell’acqua. Lasciamo lavorare i bambini in libertà, senza intrometterci, indicando con precisione quelle che sono “le regole del gioco”. Ad esempio: “L’acqua non deve uscire dalla bacinella. Arrotolare le maniche e mettere il grembiulino. Far entrare nell’acqua solo oggetti in plastica e metallo ovvero quelli che non possono rovinarsi con l’acqua, etc..”.
A questo punto l’adulto dovrà intervenire, sussurrando e chinandosi a misura del bambino, solo per ribadire le regole che non vengono rispettate.
Quando un bimbo è stanco non desidera condividere, confrontarsi, giocare insieme, rispondere a domande. E’ pertanto preferibile lasciarlo giocare solo e accorrere esclusivamente se ci reclama.
I benefici psichici e fisici che possono trarne sono immediati.
Spesso è sufficiente un banale contatto con l’acqua: riempire il lavandino e permettere al bambino di immergere le mani e le braccia. Oppure riempire il bidet (o una bacinella) prendere uno sgabellino e offrire un pediluvio. I bambini amano anche dedicarsi ai grandi lavaggi: lavare una sedia, un tavolo, ne parleremo prossimamente…
Altrimenti, ecco alcune idee (se possibile è preferibile allestire le attività in bagno….):
Lavaggio della bambola
srotolare a terra un tappetino.
offrire una bambola in plastica. Spogliarla. predisporre una bacinella, una spugnetta, un sapone di marsiglia (liquido o in saponetta), un asciugamano.
insaponare la spugna.
immergere la bambolina come fosse un bambino (sostenendo la testa),
prendere la spugna e insaponare la bambolina nominando le parti del corpo che vengono strofinate. sciacquare la bambola con la mano.
asciugarla e rivestirla.
lasciare ora il bambino lavorare in autonomia.

Travaso con la spugna
srotolare a terra un tappetino.
allestire due bacinella, una contente dell’acqua e l’altra vuota.
all’interno della bacinella con acqua immergere una spugna morbida.
inzuppare la spugna.
sollevarla e trasportarla nell’altra bacinella.
strizzare la spugna.
ripetere l’operazione fino al completo travaso dell’acqua da una bacinella all’altra.


“E’ sempre in braccio, non ne posso più!”
“Non fa che chiedere di ciucciare! ma non gliela do vinta!”
Il mondo del neonato cresce lentamente di giorno in giorno, di mese in mese a partire…..dalla tetta della mamma!
La tetta non rifornisce solo cibo, ma calore, conforto, amore, occasione di esplorazione sensoriale. Inizialmente il punto di riferimento, la base sicura del bambino è la sua mamma e nello specifico, il suo seno. La mamma e il suo corpo forniscono al bambino tutto il nutrimento fisico e psichico di cui ha bisogno, è qui che il piccolo sperimenta: guarda, tocca, ciuccia, colpisce, graffia, assaggia….lentamente questo mondo si allarga e il cucciolo comincia a mostrare interesse perciò che lo circonda: il tappetino, la culla, le luci, gli oggetti dell’ambiente, la sua cameretta, la sua casa etc.. e gradualmente quelle competenze sensoriali testate ed allenate nella sua morbida e calda base sicura, avranno occasione di essere messe alla prova ed arricchite!
Essere con il proprio corpo e con il proprio seno la base sicura dei nostri piccoli è un onore ed una fortuna da non lasciarsi scappare, ma da godersi a pieno, prima di trovarsi a chiedere: “mi dai un bacio?” e sentirsi rispondere: “ Domani mamma, domani.”
Giuseppe, di 7 anni, sta tentando di allacciare la cintura di una sdraietta, ma non riesce a portare a termine il suo intento. E’ molto concentrato, da bravo piccolo scienziato, a comprendere il motivo del su
o insuccesso. Prova ancora, con calma, sereno e curioso di capire. I suoi gesti sono lenti, passa la cintura in ogni direzione per cercare di capire l’inghippo.
Un adulto che si trova nella stessa stanza, seduto ad un tavolo con altri ospiti, lo nota e immediatamente dice: “Son due cinture, stai sbagliando. Devi passare da dietro e quell’altra va sotto, altrimenti non puoi riuscire.”
Il bambino cambia espressione. La sua concentrazione è sparita e comincia a comunicare con l’adulto che ora è diventato il suo punto di riferimento:
“cosi? è giusto? va bene?”
l’adulto tenta di guidarlo a parole per “aiutarlo” a risolvere il suo “problema”.
I gesti di Giuseppe sono diventati goffi, tenta di seguire i comandi vocali senza ben comprenderli. Dopo un po’ di tempo, non pienam
ente consapevole del processo, allaccia la cintura, senza entusiasmo.
Giuseppe voleva riuscire in autonomia ad allacciare la cintura, non avere la cintura allacciata.
Ce l’avrebbe fatta, se fosse stato solo…
Lo scopo dell’agire dei bambini è spesso comprendere il processo delle cose, non il risultato.
Era immerso nel flusso della concentrazione, dal quale sarebbe emerso vincente, appagato e cresciuto.
La Montessori la chiama pazienza: la virtù di saper attendere il manifestarsi del bambino.
Prima di intervenire deve chiedermi: E’ necessario? lo faccio per sentirmi utile ed importante o perché il bambino ne ha realmente bisogno e sta cercando aiuto?
Osservando attentamente un bambino all’opera con la vita, si può comprendere quanto spesso noi adulti siamo, in buona fede, disturbatori del loro sviluppo.
Dovremmo provare, quando le circostanze lo permettono, a farci da parte.
“E’ necessario che io diminuisca perché egli cresca” diceva Giovanni Battista.
Spesso è l’amore, il bisogno di sentirci utili che ci spinge ad agire ed intervenire nel percorso di crescita dei bambini, ma è necessario valutare ogni intervento con calma, pazienza e fiducia. Se serve è mio dovere e responsabilità supportare se invece non sono necessario, umilmente, direbbe la montessori, devo farmi da parte e osservare, osservare, osservare il bambino all’opera per la costruzione di sé.
“Non mette mai in ordine i suoi giochi!”
“Quella stanza è sempre in disordine, non si riesce neanche a muoversi!”
“Non sa neanche quello che ha in quella stanza!”
Il riordino dei propri giochi è una conquista d’autonomia del bambino mooolto cara ai genitori!
Ma è bene sapere che, anche se è difficile da credersi, il bambino desidera abitare l’ordine con tutto se stesso.
I giochi, però, sono tutti in giro lo stesso, come mai?
I motivi possono essere svariati, tra questi: il bambino è troppo piccolo per farlo (in questo caso l’adulto deve essere il suo modello, dare al bambino continua occasione di assistere al riordino…) oppure nessuno ha mai fatto notare lui l’importanza e l’utilità del riordino, ma si è limitato a richiederlo come dovuto e basta.
Maria Montessori ci fornisce un preziosissimo consiglio a riguardo:
l’azione educativa deve iniziare dal fornire al bambino un ambiente adatto, che sia adeguato all’età, stimolante, pulito, curato ed ordinato. Il nostro agire deve svolgersi sull’ambiente, non sul bambino, il quale trarrà stimoli e occasioni da apprendimento, prima di tutto, dal suo ambiente di vita.
Spesso nelle camerette o negli angoli della casa adibiti ai giochi dei nostri bimbi c’è troppo e spesso troppo poco curato! Tantissimi giochi, di ogni natura, tutti mischiati in grandi cesti o scatoloni, impilati in modo che sia irraggiungibili (e l’adulto si spazientisce perchè deve sempre tirare giù o fuori i giochi…), alcuni giochi non funzionanti, alcuni incompleti, alcuni che non destano più alcun interesse, altri troppo difficili o troppo semplici per attrarre il bambino!
Perchè il bambino si prenda cura del suo ambiente, se ne deve innamorare, perchè ciò avvenga, l’ambiente deve essere seducente.
Come possiamo favorire ciò?
“Non si può sempre dire si! Bisogna anche imporsi…”
“Quando è no è no. Punto e basta! non voglio sentire discussioni! E’ chiaro?”
Sembra che il genitore debba convincere se stesso che il “no”che va dicendo sia sensato. Se la decisione di imporre un limite è meditata con cura, misurata e giustificata si deve procedere fino in fondo con amore, fermezza e un gentile sorriso. Perchè l’adulto dice “no” con la faccia scura, urlando e senza la minima cordialità e gentilezza? A volte perchè è lui il primo a non essere certo di ciò che fa e dici e spera così di essere più credibile e convincente…
In questo caso è scontato che il bambino non potrà sentirsi a suo agio…
Quello che invece è importantissimo è valutare con attenzione la reale necessità del limite che intendo imporre. Quando la decisione è presa bisogna procedere con fermezza: niente eccezioni, niente sconti, ma ordine chiarezza e sicurezza. Quando diciamo no, insomma, dobbiamo esserne sicuri e convinti, sapere precisamente il perchè lo stiamo facendo riuscendo a dare una spiegazione reale e comprensibile. Il tutto usando un tono calmo e dolce che rassicuri e non che intimorisca, che calmi e non che agiti. Accogliere il bambino significa aiutarlo nella gestione delle frustrazioni, delle difficoltà, del superamento degli ostacoli. Ogni volta che diciamo “NO” abbiamo occasione per esercitarci ad essere sempre più accoglienti. Se il bimbo si sta mettendo in una situazione pericolosa per se stesso, per l’ambiente o per un’altra persona noi dobbiamo per forza intervenire. Ma un intervento irruento, violento, urlato, non può che generare una reazione simile: irruenta, violenta, urlata. Se desidero che il bimbo si fermi, rallenti, sia cauto, sia concentrato, dovrò avvicinarmi a lui esattamente con questo spirito: con cautela, calma, gentilezza, sussurrando, aiutandolo e fermando la sua mano (o il suo piede..) con dolcezza se la mia parola si rivelasse insufficiente.
In aggiunta a ciò devo andare fino in fondo, sempre.
Se intervengo per interrompere un’azione o impedire che avvenga il motivo è serio. Così devo far rispettare questa volontà accettando ed accogliendo qualsiasi reazione, senza giudicare, commentare:
un bambino che piange, abbracciato da mamma e papà, comprendendo il perchè del suo pianto, sentendosi amato, accolto e rispettato, non è un bambino frustrato, confuso e sofferente, ma “semplicemente” un bambino che sta crescendo….
L’interesse è ciò che muove l’apprendimento. Il nostro aiuto educativo ha molto più valore e ottiene maggior successo se riguarda la materia di interesse del momento. I bambini variano spesso la loro area di interesse a seconda dei loro bisogni di crescita e sviluppo. Alcuni sono più interessati al cibo, altri al movimento grosso (camminare, arrampicarsi, saltare..) altri ai lavori di fino (infilare, sfilare, aprire, chiudere…) altri al linguaggio e così via….. Ognuno ha i propri tempi e i propri “gusti” ed è giusto rispettare le peculiarità di ciascuno. La nostra piccola Nina ha 14 mesi: la sua passione è muoversi. Camminare, correre,arrampicarsi, stare in equilibrio in posti precari, scavalcare gli oggetti e i muretti… Pertanto il miglior aiuto che possiamo offrirle èdarle SPAZIO!! Non costringerla a stare ferma. Quindi poca macchina (per quanto possibile..), poco tempo in braccio, niente passeggini, tante passeggiate, le coccole solo quando dorme (!), casa in piena sicurezza per garantirle massima libertà e così via.
Da poco più di due mesi ha iniziato ad interessarsi anche al cibo ed è per questo che ora stiamo lavorando su tutto ciò che riguarda la pappa! Assaggi di vari cibi, bicchiere in vetro, forchette “funzionanti” solo un po’ piccole…, orari il più possibile stabili..
Quel che conta è concentrarsi, come genitori, su ciò che interessa in quel momento al bambino. Se ad un bimbo non importa una certa attività, in quel periodo (camminare, parlare, mangiare, fare un lavoro..) non dateci retta! quando sarà il momento lo capirete, il vostro bambino ve lo mostrerà!
Ecco alcuni piccoli trucchetti, per favorire l’autonomia, che vorrei condividere con voi:
A TAVOLA!
Quando il bimbo si mostra interessato al cibo ponete al suo posto due cucchiaini o due forchette per mangiare, in modo che una posata sia per voi in caso di aiuto e l’altra sia per luichepossa sperimentare l’imboccarsi da solo! Anche se non porta in bocca alcun boccone, lasciatelo tenere in mano la posata e tentare come meglio può: guardandovi e affinando la sua manualità presto riuscirà.

LE SCALE CHE PASSIONE
un bimbo interessato al movimento grosso vuole fare le scale, sempre! fermandosi ad ogni gradino, un po’ a gattoni…..Se abitate in condominio e quindi possedete le scale solo condominiali (quindi troppo impegnative all’inizio!) portate il bimbo in braccio fino all’ultima rampa, poi lasciatelo concludere in autonomia! all’inizio fategli compiere solo gli ultimi due o tre gradini, poi sempre più fino a prendere confidenza con l’intera scala!
Lasciatevi guidare dalla gioia nei loro occhi: ciò che non vogliono fare non gli interessa ,non è il momento, non insistete. Qualsiasi vostro aiuto in ciò che in quel momento li attrae, li smuove sarà per loro fonte di felicità e stimolo di crescita.