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Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’…

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Ieri Nina, di quasi sette anni, mi chiede un’idea scaccia noia. Chiedendole se avesse voglia di rivedere qualche amico (e conoscendo la risposta..) le inizio a raccontare della mia gioia quando da bambina trovavo nella buca delle lettere una cartolina o una lettera intestata proprio a me! EL racconto così di Sindy, Silvia, Giulia, Andrea mie amiche di penna con le quali sono rimasta in contatto per diversi anni dopo un fortuito incontro al mare o in montagna durante le vacanze. I suoi occhi increduli e curiosi tentano di capire un’usanza che profuma di di era preistorica.. Le chiedo se, vista l’impossibilità di raggiungere i suoi amici, non volesse individuare e nominare

un amico di penna al tempo della quarantena!

Nina accetta la proposta e contattata la mamma dell’amico Lorenzo, iniziamo l’avventura. Recuperata carta da lettera con tanto di busta originale anni ’90 avanzata dalla sottoscritta e pennino con inchiostro ricevuto per Natale, siamo pronte.

Nina un po’ spaesata mi domanda: ” Ma cosa devo scrivere?!?” “Ciò che vuoi! I tuoi pensieri, fare domande, proporre un indovinello, raccontare le tue giornate…” Superato l’ impasse optiamo per  uno stato d’animo (gioia di non andare a scuola!) e un indovinello. Impariamo così come si intesta una lettera (dove data, luogo, firma, maiuscole e minuscole..). Una volta confezionata imbastiamo, affranchiamo, destinatario davanti, mittente dietro e via alla buca.

Passate un paio d’ore, vedo Nina indossare le scarpe.

“Amore dova vai? non possiamo uscire..”

“Tranquilla mamma! Vado solo sotto a vedere se mi ha risposto il Lori”

Capisco che al tempo di whatsapp, internet, 4G, wireless, necessitiamo di una lezione sui tempi della posta ordinaria e di una dose (facciamo due..) di nostalgica pazienza…

 

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Matematica in gioco!

uno, due, tre: si parte!

giocare con i numeri, prendere confidenza con i calcoli, i numeri negativi attraverso il gioco, la sfida e la fortuna. Ciò che diverte è ben accettato e più facilmente viene appreso e interiorizzato.

Associazionedidee parte così con una serie di video per offrire ai genitori idee per trascorrere le giornate all’insegna del divertimento e dell’apprendimento!

 

 

 

 

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SE LO TENGO IN BRACCIO, LO VIZIO?

park-2967737_960_720A chi non piace stare in un posto sicuro, accogliente, comodo e caldo?

Durante la vita intra uterina questo spazio è l’utero della mamma dove il piccolo viene cullato dal ritmo del cuore e dalla voce della mamma, tranquillizzato dal movimento continuo. Questo stato di quiete, pace e sicurezza il bambino lo ricerca alla nascita, tra le braccia della mamma.Il pianto, la paura, la solitudine, lo sconforto, il freddo e il sonno trovano soluzione tra le braccia materne.

A quelle braccia il bambino desidera tornare, per molto tempo, ogni volta che si sente in difficoltà.

Le braccia della mamma (e dopo qualche mese dalla nascita anche quelle del papà!) sono per il piccolo la base sicura da cui partire per esplorare il mondo e quello stesso porto cui tornare ogni volta abbia bisogno di conforto e amore.

Tenere in braccio significa ricaricare d’amore il bambino, offrirgli “carburante” per affrontare le difficoltà delle vita, piccole o grandi che siano. Ciò che può inquietare, far soffrire, spaventare un bambino può non suscitare gli stessi sentimenti nell’adulto. Ma è importante tenere a mente il loro punto di vista, senza giudizio: solo il bambino sa cosa lo turbi e quando richiedere un po’ di forza e conforto. L’adulto accogliente, umile e attento risponde con un abbraccio quando questo viene richiesto, senza farsi domande o cercando un senso.

Per i primi anni di vita la domanda che accompagna la vita dei bambini è “mamma, papà, ci siete? mi amate? sono al sicuro?” (Biddulph, 2013) queste domande trovano risposta nell’amore e nell’affetto che i genitori offrono ai figli e la crescita non può procedere in modo sereno e lineare  sino a quando questi interrogativi non saranno soddisfatti.

Il bambino scenderà dalle braccia della madre, lascerà il seno e dormirà da solo quando sentirà naturale farlo. Maggiori saranno le scorte d’amore fatte nei primi anni di vita, prima conquisterà importanti competenze: di pensiero autonomo, di scelta, socialità, empatia.

Tenerli in braccio non è un mai un vizio, ma un gesto di amore incondizionato che darà forza e conforto.

Quando i bimbi crescono potrebbero sentire a volte il desiderio di tornare piccoli, perché diventare grandi è impegnativo! Eccoli allora chiedere nel modo più semplice che conoscono: “mi prendi un po’ in braccio?” Quando le scorte d’amore scarseggiano i bambini lo percepiscono e si difendono chiedendo vicinanza e affetto. Prendiamo in braccio anche i “grandi”, ci rimarranno per pochi minuti, per il tempo che serve loro per ricaricarsi e ripartire più forti sulla strada della vita.

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LA MAMMA, IL REGALO PERFETTO PER OGNI NEONATO

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(Caro bebè, il post di oggi è dedicato a te, per dar voce al tuo messaggio ancora troppo inascoltato. Speriamo possa funzionare..)

Gentili genitori, nonni, baby sitter, educatrici, datori di lavoro e chiunque voglia fare un regalo al bebè,

al bando sonagli, ciucci, carillon, mobiles, cullette mobili, seggiolini sonori e luminosi, gattini di peluche che possono abbracciare, tigrotti morbidi che si scaldano nel forno per dare calore e confronto alla colichette del piccolo, capi d’abbigliamento super tecnici per mantenere la temperatura corporea!

Da oggi, anzi da sempre, per il nostro bebè non c’è regalo migliore e pluriaccessoriato della propria mamma.  Un’unica soluzione per tutte le sue necessità: nutrimento, affetto, calore, intrattenimento, stimolo, consolazione, protezione. 

Ebbene si, signore e signori la mamma ha tutto ciò che serve, la mamma è all inclusive:

ella è sempre disponibile, h 24, non servono batterie, solo qualche ora di sonno al giorno per averla sempre perfettamente funzionante (se la si lascia qualche ora di più a dormire può essere anche di buon umore e certamente più performante…). 

Mamma nutre: ella offre latte caldo, specie specifico (ovvero perfetto per il neonato) al bisogno, senza necessità di altra strumentazione (n.b. per un corretto mantenimento del rifornimento latte, trattare bene il capezzolo, richiedere più volte di attaccarsi e ciucciare a lungo con gusto, senza schiocchiare e se possibile ricercare un ambiente silenzioso e poco illuminato).

Mamma scalda: la sua temperatura corporea è perfetta per regolare quella del bebè, stando a contatto non ci saranno problemi di raffreddamento o surriscaldamento. Non ci si può sbagliare. Mamma si spoglia e si copre a seconda delle necessità in perfetta autonomia, di giorno e di notte. 

Mamma culla: al bisogno, autoregolando velocità e direzione, la mamma ondeggia, saltella, rotea, con l’utilizzo di tutto il corpo. 

(La funzione si è dimostrata perfetta per l’addormentamento, la consolazione, la prevenzione di rigurgiti e coliche, la stimolazione tattile e lo sviluppo del legame d’attaccamento). 

Mamma canta e parla: la mamma è capace di parlare e cantare, dotata di un sensore speciale entra in funzione con il pianto, il sorriso e i vocalizzi. Li legge come richiami per iniziare a gorgheggiare, narrare ciò che accade, cantare filostracche e canzoncine, fare buffi versi tendenzialmente acuti perché sa essere più apprezzati. 

(Ottima funzione per l’addormentamento, la noia, l’accompagnamento al cambio pannolino, il dolore e la frustrazione, la cura della relazione).

Mamma intrattiene: all’apice delle braccia che cullano è dotata di mani. Esse possono roteare, chiudersi, aprirsi, battere l’una con l’altra offrendo stimolo per la vista, l’udito, il tatto. 

Ottimi gadget per la consolazione, per i massaggi al pancino per la stitichezza, per le bottarelle sul sedere (ideali per l’addormentamento). 

In esclusiva per voi, le mani sono dotate di dita, strumenti perfetti per la rimozione di strani oggetti nel cavo orale del bebè, per la cura di unghie e capelli, per vestire e spogliare. 

Accessori di Mamma: Mamma è dotata di cavo orale e narici che possono intrattenere il piccolo durante la poppata. Sa sorridere e fare smorfie buffe che divertono, stimolano l’intelligenza e favoriscono lo sviluppo del legame d’attaccamento. 

Sulla testa possiede i capelli, ottimo anti stress: possono essere accarezzati, attorcigliati, tirati (senza esagerare altrimenti si rischia la caduta o il taglio netto), se sono lunghi Mamma li agita sul viso del bebè per scatenare ilarità.

Mamma può essere dotata di bracciali, orecchini, collane, occhiali per rendere più interessate l’esplorazione tattile, visiva e uditiva durante l’incontro. 

Perché tutto funzioni Mamma non dev’essere sovraccaricata di stress, deve essere confrontata, sostenuta, ascoltata, aiutata nelle faccende domestiche.

L’uso è consigliato dalla nascita fino ai 9 mesi per 24 ore al giorno.

(la funzione “scalda” è garantita anche quando la mamma è sotto carica).

Ridurre poi in modo graduale in base al bisogno e al piacere. 

E’ possibile la versione maschile, per tutte le funzioni, tranne “nutre”, per la quale è prevista una variante. 

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Mamma, chi è “tre”?

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Mamma, chi è “tre”?

Questa la domanda che mi ha rivolto Lea (3 anni), una mattina di dicembre.

Che 3 è un numero, Lea lo sa. Come contare fino a 3 anche. Così mi sono chiesta: “come posso dargli una risposta che le insegni qualcosa in più di quel che sa?”

Montessori ci dice spesso nei suoi testi che ciò che conta è mantenere vivo l’interesse e “sfruttare”, “prendere al volo” le domande dei bambini. Ovvero, quando la curiosità del bambino si posa su un argomento è l’occasione perfetta per parlarne e seminare, certamente il terreno si rivelerà fertile. 

Così ho letto quella domanda, come il momento opportuno per fare una breve ed attraente “lezione” di matematica. Ho preso un foglio e ho scritto 3 e poi ho improvvisato una sorta di racconto mentre scrivevo lentamente tutti i “protagonisti” :

“Ma 3 non è solo, vicino a lui c’è 2 e 4 che a loro volta hanno dei vicini. 1, 5. E poi c’è 6, 7,8,9 il più grande di tutti. lnsieme formano la famiglia delle unità.”

Poi ripentendo lentamente i numeri abbiamo messo i pallini sotto ciascun numero. Con i chicchi di riso, Lea ha riempito ciascun pallino, andando a svolgere un esercizio di conta dall’uno a nove. 

Il tutto è durato una decina di minuti, tempo massimo prima che il suo interesse venisse meno. 

Non occorre possedere materiale scientifico montessoriano per avvicinare a casa i bambini alla matematica, alla lettura o alla scrittura o alla geografia, anzi al contrario: il materiale didattico deve stare a scuola in mano a maestre formate per utilizzarlo al meglio. A casa, i piccoli, devono trovare materiale costruito, improvvisato e abbozzato da mamma e papà, che profuma di casa che sia caldo, domestico ed unico. 

Ciò che conta è invece la modalità con cui Montessori ci insegna ad insegnare: 

Non interrogare il bambino;

Incantarlo con la narrazione;

Mantenere vivo l’interesse non offrendo spunti di riflessione troppo complessi o troppo semplici, ma un po’ più difficili rispetto a ciò che il bambino già sa;

Essere semplici, profondi e scientifici contemporaneamente;

Adattare la lezione al ritmo e alla modalità più consona per quel bambino;

Ricercare sempre ordine ed eleganza nell’esporre il materiale.

Ciascun genitore può riuscirci, ascoltando il proprio bambino, lasciandosi andare alla propria fantasia e facendo propri strumenti di “lavoro” come ceci, cucchiai, pentole, spugne, spazzolini, terra, farina, fogli, colori e chissà cos’altro…

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“Ma che fai?!”

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Nina, 2014 “il porta spezie”

“Ma che cosa stai facendo..?” pensano mamma e papà, vedendo una figlia arrampicarsi su un porta spezie.

Ho ritrovato questa foto e ho pensato di condividere una riflessione. Nina, si era stufata di infilare i barattoli delle spezie nei fori (attività di sviluppo della manualità fine). Il suo interesse stava andando altrove: movimento, equilibrio, provare a rispondere alla domanda “riuscirò a salire qua sopra in piedi?”.

Noia e/o  frustrazione invitano i bambini a ripensare a ciò che hanno davanti:

“Mi sono stancato di pestellare…. adesso uso il pestello da microfono!”

“Non riesco ad infilare questa perla nel filo: lancio tutto!”

Questo pensiero, non lo rendono esplicito, ovviamente, e ciò che offrono all’adulto è solo il comportamento che ne consegue: il lancio di perle e filo, la cantata a squarciagola con il pestello e l’arrampicata!

La Montessori la chiamava umiltà, quella virtù del genitore e della maestra di rivedere un proprio progetto o una propria intenzione a favore del bisogno del bambino.

Il pensiero umile è: “Di ciò che stai facendo, che ti ho allestito e proposto con gioia ed entusiasmo, non te ne può importare di meno. Ora hai bisogno d’altro”.

L’altra virtù che Montessori, forse troppo fiduciosa nel genere umano, attribuiva all’adulto educante è la pazienza.

il pensiero paziente è: “Ora ti osservo per qualche istante “maltrattare” il  mio lavoro per capire dove diamine vuoi andare a parare….che cosa vuoi?”

Il bambino agendo mi dice delle cose, la mia predisposizione all’ascolto e all’accoglienza della sua estrosità, mi può far capire il suo volere.

Ora è tempo di agire.

La parola attenta ed amorevole può manifestarsi:

“Non hai più voglia di pestellare. Forse ti sei stancato. Riponi pestello e mortaio e cerca qualcos’altro da fare che ti interessi. Se ti torna la voglia di pestellare, sai dov è!”

“Sei stufa di infilare i barattoli delle spezie. Riponiamolo e usciamo, andiamo in giardino, potremmo arrampicarci un po’”

“Non riesci ancora ad infilare le perle nel filo. Non preoccuparti, vedrai che con un po’ di esercizio diverrai abile Riponiamo il lavoro insieme. Vuoi infilare questi bottoni nella scatola forata? o preferisci fare altro?”

Ma stava già cantando con il pestello e arrampicandosi, perché impedirglielo?

Il pestello non è un microfono e il porta spezie non è un rialzo. Il loro scopo è un altro. Confondere e liberamente interpretare gli scopi degli oggetti non è sempre possibile (se mi pettino i capelli con la forchetta come Ariel, non mi è consentito.. così come bere dal vaso dei fiori, giocare a palla con la sfera in vetro della neve…) e la capacità di discernere possibile da impossibile, pericoloso/innocuo, igienico/anti-igienico non può essere posseduta da un bambino piccolo (matura con il tempo), pertanto il pestello pestella e basta.

Per ogni azione un oggetto, uno spazio ed un tempo.

Indicare questi confini è responsabilità dell’adulto educante, scegliere cosa si ha voglia di fare è diritto del bambino.

 

 

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“QUI ABITA UN BAMBINO”

36309641_2058925494149339_8937172166621790208_nSONO LIETA DI ANNUNCIARE L’USCITA DI

“QUI ABITA UN BAMBINO” AMBIENTI E ATTIVITA’ MONTESSORI PER FAVORIRE L’AUTONOMIA IN CASA, OGNI GIORNO

IL LIBRO NASCE DAL DESIDERIO DI RACCONTARE LA CASA, COME “NIDO” PER LA FAMIGLIA, CULLA DELLE RELAZIONI, DEI SENTIMENTI, DELLA CRESCITA, DELLO SCAMBIO, DELLE LITI E DELL’AMORE.

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ALT ai pennarelli fino ai 4 anni!

color-787251_960_720Si, può sembrare un’affermazione un po’ forte. Ma chi non è d’accordo che un pennarello sia un’arma in mano ad un cucciolo di due o tre anni?! Non solo per divani, tavoli, muri, vestiti o armadi, ma anche per lo sviluppo della loro competenza manuale.

Perché la matita colorata?

La matita colorata, il pastello per intenderci, necessita di concentrazione per “funzionare”. Se viene impugnato in modo scorretto, quando si traccia non si vedrà alcun risultato. Inoltre con il pastello è necessario scegliere la pressione da utilizzare e il bambino può facilmente comprendere, in autonomia, che troppa poca pressione non genera traccia e per ottenere un tratto spesso bisogna usare molta pressione.

Così il bambino dovrà ragionare sull’utilizzo dello strumento, sperimentarlo, introiettando quali sono le azioni necessarie per ottenere il risultato voluto.

Cosa succede invece con il pennarello?

Qualsiasi impugnatura scelga il bambino, lo strumento funzionerà. Può tracciare guardando altrove. Qualsiasi pressione faccia il risultato non cambia.

E’ un materiale, ovviamente, povero dal punto di vista del potere educativo: non insegna al bambino, l’attenzione, l’impegno, la calma e la concentrazione così come la gestione della frustrazione e non gli permette di “lavorare” sull’impugnatura giusta che gli occorrà al tempo della scrittura.

Un tempo per ogni cosa

Montessori dava occasione al bambino di prepararsi alla scrittura molto prima che fosse giunto il tempo di scrivere questo perché, quando intorno ai 4 anni, il bambino mostra interesse per le lettere, la sua mano sarà già educata a rispondere ai comandi, a seguire una traccia, a mantenere una posizione, a rallentare, curvare. Questo perché sarà una manina allenata ed educata.

Come si educa la mano?

Offrendo continue occasioni di affinamento del coordinamento motorio: infilare, sfilare, aprire, chiudere, separare, così come tracciare con matite e pennelli. Più le esperienze saranno formative, interessanti e un po’ sfidanti, maggiormente e più in fretta il bambino diverrà abile.

I bambini non amano più i pennarelli che pastelli, ma spesso sono abituati a “non faticare troppo” per ottenere ciò che desiderano. La sua frustrazione immediata difronte alla difficoltà spesso viene accolta rimuovendo l’ostacolo, invece che insegnando a gestire l’impotenza.

La matita colorata è uno strumento più complicato e quindi viene offerto al bambino più grande. Il pennarello che è “facile” a quello più piccolo.

Ma questa scelta è comoda, non educativa.

Il facile pennarello, va conquistato.

Perché sono stati inventati i pennarelli lavabili e a tossici?  Perché sono stati messi nelle mani di bambini incompetenti (non per colpa loro, ma per naturale immaturità).

Un bambino di 5 anni, se possiede “mani educate” difficilmente si sporcherà tutte le dita tracciando, o i vestiti, o muri, divani, tavoli e sedie così come difficilmente lo metterà in bocca per sapere che sapore ha .

Un bambino di 5 anni userà i pennarelli, non come mezzo di esplorazione, ma come strumento per colorare grandi superfici, per inventare personaggi, storie ed avventure, esprimersi e rielaborare vissuti.

Invertite la tendenza! Alt ai pennerelli fino ai 4 anni a casa e a scuola.

Ne gioveremo tutti: mamma, papà, muri, divani e naturalmente i bambini (a lungo termine…)!

 

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“La libertà, non è star sopra un albero, non e neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” G.Gaber

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La libertà

E’ tempo di riflette sul termine libertà, su chi sia un bambino libero, su cosa comporti in termini educativi.

Spesso incontro genitori “schiavi” della libertà dei propri figli, incapaci di dire “no” credendo di limitare il proprio figlio ingiustamente e così limitano se stessi, tacciono i loro bisogni e le loro emozioni per dare spazio solo al volere dei più piccoli.

Ma la libertà è partecipazione, per essere liberi occorre saper guardare ed ascoltare gli altri. Educare alla libertà significa educare all’ascolto e al rispetto, prima di tutti di mamma e papà.

Quando si parla di bambini liberi, spesso ci si immagina un bimbo, anche molto piccolo che sceglie costantemente: cosa fare, cosa mangiare, come vestirsi, se andare a fare la spesa, se stare seduto a tavola, se prendere la macchina o andare a piedi forse decide anche per mamma e papà, se possono parlare, se devono giocare, a volte se possono addirittura farsi la doccia…

Questo però, non è un bambino bambino libero, ma un bambino cui vengono delegati compiti e responsabilità educative che non gli competono ma che dovrebbero essere in carico al genitore.

Spesso decidere per i bambini o lasciare che siano loro ad auto-gestirsi, sono scorciatoie “facili” che non prevedono la fatica dell’equilibrio.

Immaginiamo di dover rispondere ad un bambino, di 3 anni che vuole vestirsi in autonomia al mattino.

Esisto tre strade percorribili:

No, scelgo io 

Scegli pure quello che vuoi 

Puoi scegliere tra questo. (dopo aver selezionato capi adeguati alla stagione e al contesto)

La terza via è quella che richiede per il genitore, il maggior investimento di tempo e di energia, ma è anche quella più rispettosa del bambino.

Affidare ad un bambino di tre anni la gestione di un armadio 4 stagioni, consentendogli di uscire di casa a gennaio con vestiti dell’estate, non significa lasciarlo libero, ma farlo disperdere in un mare troppo vasto perché lui lo  possa governare.

Un bambino libero non è senza limitazioni, anzi conosce benissimo i confini, sa rispettarli, sa contenersi e gestire la frustrazione come la rabbia e la noia. Questi limiti gli sono stati presentati da sempre, con amore e comprensione, non come punizioni ma come aiuto alla vita.

Un bambino libero accetta il “no” perché conosce il “si”.

Egli ha sperimentato in modo graduale, commisurato alla suo grado di maturità, l’azione libera vivendosi le relative conseguenze e le eventuali frustrazioni.

Attraverso i “no” possiamo educare alla libertà. Concedendo sempre maggiore spazio al bambino mano a mano che diventa competente. Una volta che il bambino conquista un’abilità (ad esempio la capacità di salire le scale o di mangiare, o di pettinarsi) nessuno gliela potrà togliere o limitare.

Dove è libero un bambino?  Dove è in grado di gestirsi, dove sa agire senza essere irrispettoso, offensivo o doloso verso di sé, gli altri o l’ambiente.

Pretendere l’attenzione dell’adulto perché si vuole parlare in quel preciso istante è offensivo e irrispettoso. Ma il problema sta nell’adulto che lo concede: se due adulti stanno parlando ed un bambino di inserisce nella discussione pretendendo l’attenzione immediata, dovrà ricevere una limitazione.

Attendi un istante, tesoro. Sto parlando. Appena ho finito ti ascolterò.” Questa risposta non è “crudele”, ma educa alla libertà insegnando una regola sociale: la mia libertà inizia dove finisce la tua.

Il contesto giusto, per il bambino,  in cui sperimentare limiti, regole, sociali, frustrazione o rabbia è proprio quello familiare, perché in nessun altro contesto sarà mai così amato, accolto ed ascoltato, nel suo malessere.

La libertà si conquista gradualmente, i genitori devono desiderare concedere libertà ed educare bambini liberi, ovvero capaci di limitarsi per garantire e proteggere la libertà di tutti.

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Sbucciare il mandarino!? Non sono capace!!

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In una scuola dell’infanzia, offrendo un mandarino con buccia a ciascun bimbo presente, assisto ad una scena che mi fa riflettere.

Tutti i bambini, ricevuto il mandarino, abbassano lo sguardo e sussurrano: “ma io non so sbucciarlo!”. La maestra presente li sostiene confermando: “si, non sono capaci.”

Io provo a dir loro che non è così, che secondo me ce la possono fare e chiedo loro di provare.

Non percependo entusiasmo distribuisco ugualmente i mandarini e pretendo che ci provino. Inizio la sbucciatura per tutti, incidendo con l’unghia la buccia, perché quello è l’ostacolo maggiore per svolgere l’attività.

Tutti, compresa la più piccola di 2 anni e mezzo, ci riescono, ovviamente.

Non avevo dubbi.

Ad essere perplessi erano proprio i bambini.

Erano rassegnati all’idea di non essere capaci, senza per questo sentirsi a disagio o dispiaciuti. Ciò che mi ha colpito è stata la mancanza di voglia di provarci, la mancanza di interesse per “fare da soli”.

Sono convinta che genitori, educatori, nonni abbiamo il dovere e la responsabilità di non lasciar credere ai bambini d’essere incompetenti.

Dovrebbero invece fare attenzione a che non si spenga in loro la fiammella della curiosità (come la definiva Montessori) e della gioia di scoprire e conoscere.

I bambini si tutelano abolendo il giudizio e non limitandosi ad insegnare, ovvero mettere dentro, ma volendo educare, ovvero tirar fuori, dando spazio al desiderio, alla curiosità e alla passione, che l’adulto dovrebbe “solo” tutelare.

Un bambino è capace a fare qualcosa quando compie l’azione al massimo delle sue possibilità, che ovviamente, non corrispondo alle nostre. Che non sappiano vestirsi alla perfezione, con la pulizia gestuale che è propria dell’adulto, non significa che non sappiamo vestirsi; che si lavino le mani non sciacquandole a sufficienza non vuol dire che non sappiamo farlo.  Significa invece che hanno necessità di fare esercizio, di ricevere consiglio sulla precisione da impiegare, sulla gestualità da compiere, sulle attenzioni necessarie per eseguire meglio.

Il loro agire è migliorabile, certo, come il nostro del resto. Potranno farsi maggiormente abili se avranno la possibilità di provare, sbagliare, esercitarsi e sfruttare i consigli che riceveranno.

Quando versandosi l’acqua con la brocca, toccando il bordo del bicchiere rovesceranno l’acqua della tovaglia, non diciamo loro che non sanno versarsi l’acqua da soli, ma mostriamo loro dove è stato l’errore, riconoscendogli comunque la competenza.