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Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’…

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Ieri Nina, di quasi sette anni, mi chiede un’idea scaccia noia. Chiedendole se avesse voglia di rivedere qualche amico (e conoscendo la risposta..) le inizio a raccontare della mia gioia quando da bambina trovavo nella buca delle lettere una cartolina o una lettera intestata proprio a me! EL racconto così di Sindy, Silvia, Giulia, Andrea mie amiche di penna con le quali sono rimasta in contatto per diversi anni dopo un fortuito incontro al mare o in montagna durante le vacanze. I suoi occhi increduli e curiosi tentano di capire un’usanza che profuma di di era preistorica.. Le chiedo se, vista l’impossibilità di raggiungere i suoi amici, non volesse individuare e nominare

un amico di penna al tempo della quarantena!

Nina accetta la proposta e contattata la mamma dell’amico Lorenzo, iniziamo l’avventura. Recuperata carta da lettera con tanto di busta originale anni ’90 avanzata dalla sottoscritta e pennino con inchiostro ricevuto per Natale, siamo pronte.

Nina un po’ spaesata mi domanda: ” Ma cosa devo scrivere?!?” “Ciò che vuoi! I tuoi pensieri, fare domande, proporre un indovinello, raccontare le tue giornate…” Superato l’ impasse optiamo per  uno stato d’animo (gioia di non andare a scuola!) e un indovinello. Impariamo così come si intesta una lettera (dove data, luogo, firma, maiuscole e minuscole..). Una volta confezionata imbastiamo, affranchiamo, destinatario davanti, mittente dietro e via alla buca.

Passate un paio d’ore, vedo Nina indossare le scarpe.

“Amore dova vai? non possiamo uscire..”

“Tranquilla mamma! Vado solo sotto a vedere se mi ha risposto il Lori”

Capisco che al tempo di whatsapp, internet, 4G, wireless, necessitiamo di una lezione sui tempi della posta ordinaria e di una dose (facciamo due..) di nostalgica pazienza…

 

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Giochi in famiglia!

Oggi vi consiglio un gioco semplice, fatto di carta che può divertire grandi e piccini.

Si chiama Pidocchio, un insetto spesso considerato spiacevole ma che, in questo caso, non vedrete l’ora di possedere tutto intero!

Costruire gli attrezzi per giocare, può essere per i bambini una gran soddisfazione: i dadi, ad esempio, sono facilmente costruibili!

Se osservate con attenzione i   dadi del video noterete i pallini accanto al numero.

Tale scelta nasce dal desiderio di consentire anche ai bambini più piccoli la possibilità di giocare: conteranno i pallini, non riconoscendo la cifra, per sapere quale numero hanno lanciato!

buon divertimento!

 

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Matematica in gioco!

uno, due, tre: si parte!

giocare con i numeri, prendere confidenza con i calcoli, i numeri negativi attraverso il gioco, la sfida e la fortuna. Ciò che diverte è ben accettato e più facilmente viene appreso e interiorizzato.

Associazionedidee parte così con una serie di video per offrire ai genitori idee per trascorrere le giornate all’insegna del divertimento e dell’apprendimento!

 

 

 

 

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Montessorinchiaro LABS! L’acquedotto

In trenta secondi un acquedotto a misura di bambino…

anche gli argomenti più complessi possono diventare un’esperienza semplice e pratica. Non spaventiamoci di fronte a domande che ci paiono precoci come quella di Nina a 4 anni: -come arriva l’acqua al rubinetto?-. -E adesso come le rispondo?- fu il primo pensiero. Potremmo costruire un acquedotto. Ora per realizzarlo noi abbiamo usato: costruzioni forate ( tipo il nostro meccano di legno), cannucce, forbici, un ciotola, una siringa.

Se avete strane domande dei vostri bambini a cui trovate una risposta attiva e pratica, condividetela su fb: montessoriacasa…Siamo sempre curiosi.

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“Ma che fai?!”

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Nina, 2014 “il porta spezie”

“Ma che cosa stai facendo..?” pensano mamma e papà, vedendo una figlia arrampicarsi su un porta spezie.

Ho ritrovato questa foto e ho pensato di condividere una riflessione. Nina, si era stufata di infilare i barattoli delle spezie nei fori (attività di sviluppo della manualità fine). Il suo interesse stava andando altrove: movimento, equilibrio, provare a rispondere alla domanda “riuscirò a salire qua sopra in piedi?”.

Noia e/o  frustrazione invitano i bambini a ripensare a ciò che hanno davanti:

“Mi sono stancato di pestellare…. adesso uso il pestello da microfono!”

“Non riesco ad infilare questa perla nel filo: lancio tutto!”

Questo pensiero, non lo rendono esplicito, ovviamente, e ciò che offrono all’adulto è solo il comportamento che ne consegue: il lancio di perle e filo, la cantata a squarciagola con il pestello e l’arrampicata!

La Montessori la chiamava umiltà, quella virtù del genitore e della maestra di rivedere un proprio progetto o una propria intenzione a favore del bisogno del bambino.

Il pensiero umile è: “Di ciò che stai facendo, che ti ho allestito e proposto con gioia ed entusiasmo, non te ne può importare di meno. Ora hai bisogno d’altro”.

L’altra virtù che Montessori, forse troppo fiduciosa nel genere umano, attribuiva all’adulto educante è la pazienza.

il pensiero paziente è: “Ora ti osservo per qualche istante “maltrattare” il  mio lavoro per capire dove diamine vuoi andare a parare….che cosa vuoi?”

Il bambino agendo mi dice delle cose, la mia predisposizione all’ascolto e all’accoglienza della sua estrosità, mi può far capire il suo volere.

Ora è tempo di agire.

La parola attenta ed amorevole può manifestarsi:

“Non hai più voglia di pestellare. Forse ti sei stancato. Riponi pestello e mortaio e cerca qualcos’altro da fare che ti interessi. Se ti torna la voglia di pestellare, sai dov è!”

“Sei stufa di infilare i barattoli delle spezie. Riponiamolo e usciamo, andiamo in giardino, potremmo arrampicarci un po’”

“Non riesci ancora ad infilare le perle nel filo. Non preoccuparti, vedrai che con un po’ di esercizio diverrai abile Riponiamo il lavoro insieme. Vuoi infilare questi bottoni nella scatola forata? o preferisci fare altro?”

Ma stava già cantando con il pestello e arrampicandosi, perché impedirglielo?

Il pestello non è un microfono e il porta spezie non è un rialzo. Il loro scopo è un altro. Confondere e liberamente interpretare gli scopi degli oggetti non è sempre possibile (se mi pettino i capelli con la forchetta come Ariel, non mi è consentito.. così come bere dal vaso dei fiori, giocare a palla con la sfera in vetro della neve…) e la capacità di discernere possibile da impossibile, pericoloso/innocuo, igienico/anti-igienico non può essere posseduta da un bambino piccolo (matura con il tempo), pertanto il pestello pestella e basta.

Per ogni azione un oggetto, uno spazio ed un tempo.

Indicare questi confini è responsabilità dell’adulto educante, scegliere cosa si ha voglia di fare è diritto del bambino.

 

 

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ALT ai pennarelli fino ai 4 anni!

color-787251_960_720Si, può sembrare un’affermazione un po’ forte. Ma chi non è d’accordo che un pennarello sia un’arma in mano ad un cucciolo di due o tre anni?! Non solo per divani, tavoli, muri, vestiti o armadi, ma anche per lo sviluppo della loro competenza manuale.

Perché la matita colorata?

La matita colorata, il pastello per intenderci, necessita di concentrazione per “funzionare”. Se viene impugnato in modo scorretto, quando si traccia non si vedrà alcun risultato. Inoltre con il pastello è necessario scegliere la pressione da utilizzare e il bambino può facilmente comprendere, in autonomia, che troppa poca pressione non genera traccia e per ottenere un tratto spesso bisogna usare molta pressione.

Così il bambino dovrà ragionare sull’utilizzo dello strumento, sperimentarlo, introiettando quali sono le azioni necessarie per ottenere il risultato voluto.

Cosa succede invece con il pennarello?

Qualsiasi impugnatura scelga il bambino, lo strumento funzionerà. Può tracciare guardando altrove. Qualsiasi pressione faccia il risultato non cambia.

E’ un materiale, ovviamente, povero dal punto di vista del potere educativo: non insegna al bambino, l’attenzione, l’impegno, la calma e la concentrazione così come la gestione della frustrazione e non gli permette di “lavorare” sull’impugnatura giusta che gli occorrà al tempo della scrittura.

Un tempo per ogni cosa

Montessori dava occasione al bambino di prepararsi alla scrittura molto prima che fosse giunto il tempo di scrivere questo perché, quando intorno ai 4 anni, il bambino mostra interesse per le lettere, la sua mano sarà già educata a rispondere ai comandi, a seguire una traccia, a mantenere una posizione, a rallentare, curvare. Questo perché sarà una manina allenata ed educata.

Come si educa la mano?

Offrendo continue occasioni di affinamento del coordinamento motorio: infilare, sfilare, aprire, chiudere, separare, così come tracciare con matite e pennelli. Più le esperienze saranno formative, interessanti e un po’ sfidanti, maggiormente e più in fretta il bambino diverrà abile.

I bambini non amano più i pennarelli che pastelli, ma spesso sono abituati a “non faticare troppo” per ottenere ciò che desiderano. La sua frustrazione immediata difronte alla difficoltà spesso viene accolta rimuovendo l’ostacolo, invece che insegnando a gestire l’impotenza.

La matita colorata è uno strumento più complicato e quindi viene offerto al bambino più grande. Il pennarello che è “facile” a quello più piccolo.

Ma questa scelta è comoda, non educativa.

Il facile pennarello, va conquistato.

Perché sono stati inventati i pennarelli lavabili e a tossici?  Perché sono stati messi nelle mani di bambini incompetenti (non per colpa loro, ma per naturale immaturità).

Un bambino di 5 anni, se possiede “mani educate” difficilmente si sporcherà tutte le dita tracciando, o i vestiti, o muri, divani, tavoli e sedie così come difficilmente lo metterà in bocca per sapere che sapore ha .

Un bambino di 5 anni userà i pennarelli, non come mezzo di esplorazione, ma come strumento per colorare grandi superfici, per inventare personaggi, storie ed avventure, esprimersi e rielaborare vissuti.

Invertite la tendenza! Alt ai pennerelli fino ai 4 anni a casa e a scuola.

Ne gioveremo tutti: mamma, papà, muri, divani e naturalmente i bambini (a lungo termine…)!

 

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“La libertà, non è star sopra un albero, non e neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” G.Gaber

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La libertà

E’ tempo di riflette sul termine libertà, su chi sia un bambino libero, su cosa comporti in termini educativi.

Spesso incontro genitori “schiavi” della libertà dei propri figli, incapaci di dire “no” credendo di limitare il proprio figlio ingiustamente e così limitano se stessi, tacciono i loro bisogni e le loro emozioni per dare spazio solo al volere dei più piccoli.

Ma la libertà è partecipazione, per essere liberi occorre saper guardare ed ascoltare gli altri. Educare alla libertà significa educare all’ascolto e al rispetto, prima di tutti di mamma e papà.

Quando si parla di bambini liberi, spesso ci si immagina un bimbo, anche molto piccolo che sceglie costantemente: cosa fare, cosa mangiare, come vestirsi, se andare a fare la spesa, se stare seduto a tavola, se prendere la macchina o andare a piedi forse decide anche per mamma e papà, se possono parlare, se devono giocare, a volte se possono addirittura farsi la doccia…

Questo però, non è un bambino bambino libero, ma un bambino cui vengono delegati compiti e responsabilità educative che non gli competono ma che dovrebbero essere in carico al genitore.

Spesso decidere per i bambini o lasciare che siano loro ad auto-gestirsi, sono scorciatoie “facili” che non prevedono la fatica dell’equilibrio.

Immaginiamo di dover rispondere ad un bambino, di 3 anni che vuole vestirsi in autonomia al mattino.

Esisto tre strade percorribili:

No, scelgo io 

Scegli pure quello che vuoi 

Puoi scegliere tra questo. (dopo aver selezionato capi adeguati alla stagione e al contesto)

La terza via è quella che richiede per il genitore, il maggior investimento di tempo e di energia, ma è anche quella più rispettosa del bambino.

Affidare ad un bambino di tre anni la gestione di un armadio 4 stagioni, consentendogli di uscire di casa a gennaio con vestiti dell’estate, non significa lasciarlo libero, ma farlo disperdere in un mare troppo vasto perché lui lo  possa governare.

Un bambino libero non è senza limitazioni, anzi conosce benissimo i confini, sa rispettarli, sa contenersi e gestire la frustrazione come la rabbia e la noia. Questi limiti gli sono stati presentati da sempre, con amore e comprensione, non come punizioni ma come aiuto alla vita.

Un bambino libero accetta il “no” perché conosce il “si”.

Egli ha sperimentato in modo graduale, commisurato alla suo grado di maturità, l’azione libera vivendosi le relative conseguenze e le eventuali frustrazioni.

Attraverso i “no” possiamo educare alla libertà. Concedendo sempre maggiore spazio al bambino mano a mano che diventa competente. Una volta che il bambino conquista un’abilità (ad esempio la capacità di salire le scale o di mangiare, o di pettinarsi) nessuno gliela potrà togliere o limitare.

Dove è libero un bambino?  Dove è in grado di gestirsi, dove sa agire senza essere irrispettoso, offensivo o doloso verso di sé, gli altri o l’ambiente.

Pretendere l’attenzione dell’adulto perché si vuole parlare in quel preciso istante è offensivo e irrispettoso. Ma il problema sta nell’adulto che lo concede: se due adulti stanno parlando ed un bambino di inserisce nella discussione pretendendo l’attenzione immediata, dovrà ricevere una limitazione.

Attendi un istante, tesoro. Sto parlando. Appena ho finito ti ascolterò.” Questa risposta non è “crudele”, ma educa alla libertà insegnando una regola sociale: la mia libertà inizia dove finisce la tua.

Il contesto giusto, per il bambino,  in cui sperimentare limiti, regole, sociali, frustrazione o rabbia è proprio quello familiare, perché in nessun altro contesto sarà mai così amato, accolto ed ascoltato, nel suo malessere.

La libertà si conquista gradualmente, i genitori devono desiderare concedere libertà ed educare bambini liberi, ovvero capaci di limitarsi per garantire e proteggere la libertà di tutti.

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Sbucciare il mandarino!? Non sono capace!!

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In una scuola dell’infanzia, offrendo un mandarino con buccia a ciascun bimbo presente, assisto ad una scena che mi fa riflettere.

Tutti i bambini, ricevuto il mandarino, abbassano lo sguardo e sussurrano: “ma io non so sbucciarlo!”. La maestra presente li sostiene confermando: “si, non sono capaci.”

Io provo a dir loro che non è così, che secondo me ce la possono fare e chiedo loro di provare.

Non percependo entusiasmo distribuisco ugualmente i mandarini e pretendo che ci provino. Inizio la sbucciatura per tutti, incidendo con l’unghia la buccia, perché quello è l’ostacolo maggiore per svolgere l’attività.

Tutti, compresa la più piccola di 2 anni e mezzo, ci riescono, ovviamente.

Non avevo dubbi.

Ad essere perplessi erano proprio i bambini.

Erano rassegnati all’idea di non essere capaci, senza per questo sentirsi a disagio o dispiaciuti. Ciò che mi ha colpito è stata la mancanza di voglia di provarci, la mancanza di interesse per “fare da soli”.

Sono convinta che genitori, educatori, nonni abbiamo il dovere e la responsabilità di non lasciar credere ai bambini d’essere incompetenti.

Dovrebbero invece fare attenzione a che non si spenga in loro la fiammella della curiosità (come la definiva Montessori) e della gioia di scoprire e conoscere.

I bambini si tutelano abolendo il giudizio e non limitandosi ad insegnare, ovvero mettere dentro, ma volendo educare, ovvero tirar fuori, dando spazio al desiderio, alla curiosità e alla passione, che l’adulto dovrebbe “solo” tutelare.

Un bambino è capace a fare qualcosa quando compie l’azione al massimo delle sue possibilità, che ovviamente, non corrispondo alle nostre. Che non sappiano vestirsi alla perfezione, con la pulizia gestuale che è propria dell’adulto, non significa che non sappiamo vestirsi; che si lavino le mani non sciacquandole a sufficienza non vuol dire che non sappiamo farlo.  Significa invece che hanno necessità di fare esercizio, di ricevere consiglio sulla precisione da impiegare, sulla gestualità da compiere, sulle attenzioni necessarie per eseguire meglio.

Il loro agire è migliorabile, certo, come il nostro del resto. Potranno farsi maggiormente abili se avranno la possibilità di provare, sbagliare, esercitarsi e sfruttare i consigli che riceveranno.

Quando versandosi l’acqua con la brocca, toccando il bordo del bicchiere rovesceranno l’acqua della tovaglia, non diciamo loro che non sanno versarsi l’acqua da soli, ma mostriamo loro dove è stato l’errore, riconoscendogli comunque la competenza.

 

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L’età della socialità

brothers-1878178_960_720 I tempi dei bambini per diventare esseri sociali sono molto personali.

Alcuni bambini di due anni hanno piacere a stare con altri bambini, giocare in gruppo, salutare chi si incontra, accettare perfino una carezza, rivolgere uno sguardo o dire il proprio nome. Altri bambini, no. Preferiscono rimanere in disparte, guardare, stare a casa, salutano poco, difficilmente rispondono ad un estraneo e non si lanciano in attività di gruppo.

Genitori e maestre dovrebbero rispettare l’indole e il temperamento di ciascuno non forzando i tempi ,ma lasciando che il bambino faccia e parli quando si sente pronto a farlo.

“Saluta dai! non fare il timido! “Non essere sciocco!” “come sei! Ti ha solo accarezzato!” “vai a giocare con lei”

Forzare la socialità può rallentare il piacere a stare con gli altri.

Alcune persone si buttano in una nuova avventura senza timore, altri fino a quando non si sentono sicuri di riuscire alla perfezione nell’intento non si sbilanciano. Anche i bambini sono così. Ad esempio durante il periodo di sviluppo linguistico alcuni bambini parlano già quando il loro linguaggio ancora è incerto e poco comprensibile non spaventandosi della possibilità di non essere compresi. Altri bambini  invece, nel periodo che precede l’esplosione del linguaggio pronunciano pochissime parole solo quelle che sanno esprimere con precisione. Lo stesso può valere per la componente sociale: bambini espansivi, pronti al confronto anche in terreno poco sicuro convivono con bambini sociali ed espansivi a casa propria, con i parenti stretti ma che nel gruppo allargato si bloccano, rallentano, osservano, attendono perché non si sentono sicuri. Ciò non significa che i primi siano buoni e i secondi sciocchi,ma sono bambini con un differente temperamento ed una personale indole.

Accettare questa specificità significa permettere ai bambini di non trovarsi in difficoltà o in situazioni che non saprebbero gestire. Ecco perché sarebbe meglio INVITARE a salutare un estraneo, INVITARE a partecipare ad un laboratorio, INVITARE a giocare con un altro bambino rassicurando il bambino che non succederebbe nulla se lo facesse, che può stare sereno, senza insistere, tanto meno obbligare.

Quando il bambino si sentirà pronto e volenteroso ci proverà, lo farà e ci troverà pronti a sostenerlo e di incoraggiarlo.

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Montessoriacasa in Sardegna!

Montessoriacasa dal 16 al 29 Agosto sarà in Sardegna!

cala-goloritze-2277644__340Se qualche associazione, gruppi di genitori, cooperative, società, scuole, fossero interessate ad organizzare una serata per le famiglie sull’educazione a casa, scrivete a Montessoriacasa@gmail.com!

Di recente Montessoriacasa è stato ospitato a Bormio, dall’associazione Educattivamente e grazie al loro impegno, abbiamo incontrato una gremita sala conferenze delle Terme con oltre 150 persone!

Di seguito il link per vedere un piccolo estratto della serata..

https://www.facebook.com/educattivamentebormio/

Buona estate!