0

I regali di Natale

coverIl Natale è alle porte! I nostri bambini riceveranno, come sempre, tanti doni. Alcuni ingombranti, alcuni piccini, alcuni complessi, alcuni banali. Senza conoscere a fondo un bambino è complesso fare un regalo “azzeccato”!

Girando per negozi, sento nonni, zii, amici, farsi consigliare dai negozianti indicando l’età del bambino, come se questo servisse a rappresentare i suoi bisogni, interessi , gusti…

Quando guardo le indicazioni sui giocattoli, mi stupisco delle età consigliata sulla confezione: puzzle dai 2 anni che io non regalerei fino ai 3, giochi “indicati” dai 3 anni che io offrirei molto prima.

Il livello di competenza di ciascuno nello svolgere un’attività dipende dagli stimoli che ha ricevuto fino a quel momento, dal resto del materiale che possiede, dai suoi interessi, dall’ambiente educativo che frequenta.

Come comportarci allora?

Quando dobbiamo scegliere un regalo:

quando facciamo un regalo ad un bambino che conosciamo poco non limitiamoci a scegliere un regalo adatto ad un bambino della sua età, ma cerchiamo qualcosa di bello, educativo, che possa offrirgli un’esperienza formante ed appagante anche se magari non lo potrà utilizzare subito. Chiediamoci: il materiale utilizzato per realizzarlo è bello? qual è lo scopo del gioco? cosa può insegnargli? optiamo per esperienze educative, più che di intrattenimento. Lo aiuterà ad affinare l’utilizzo della mano (come tutti i giochi per infilare)? ad orientarsi nello spazio (come puzzle ed incastri)? a conoscere i colori o gli animali (libri o giochi con le carte)? Optiamo per giochi che si presentino ordinati: facilmente comprensibili nell’utilizzo, pochi colori, disegni “puliti” ovvero semplici, realistici. Un materiale ordinato potrà dare di più di un materiale confuso, troppo ricco ed iper-stimolante. I bambini amano la semplicità. La semplicità, la pulizia e l’ordine del materiale facilitano la concentrazione e quindi l’apprendimento.

Quando il nostro bambino riceve un regalo:

E’ responsabilità dei genitori valutare il dono ricevuto. Il mio bambino è già pronto per trovarsi nell’ambiente questa attività? E’ troppo semplice? Troppo complessa? se ciò che abbiamo ricevuto non è adatto, non deve entrare nella sua stanza obbligatoriamente! A volte un dono può essere riposto e mostrato al bambino quando sarà pronto per utilizzarlo. A volte dobbiamo apportare delle modiche: il gioco è bello, ma ha bisogno di un contenitore per essere riposto ordinatamente oppure deve essere semplificato.

Facciamo un esempio: Nina, che ora ha 4 anni e mezzo, ricevette due anni fa una scatola puzzle delle principesse che conteneva 4 puzzle diversi dal più semplice (10 pezzi grandi) al più complesso (25 pezzi piccoli). Le immagini da ricomporre erano difficilissime! Le prime volte faticavo io… Immagini dense, confuse, ricche di particolari, cani viola in mezzo a principesse, pony, alberi…. Non essendo Nina ancora un’esperta di puzzle (non le interessavano molto) era inutile offrirle questo materiale. Così l’ho conservato nell’armadio per un po’.. Un pomeriggio di qualche mese più tardi, proposi a Nina di ricomporre il primo puzzle, il più semplice. Lo avevo isolato dagli altri e riposto dentro una scatola. Avevo stampato una foto del puzzle completato (da me) che potesse aiutarla nell’orientamento. Con fatica, ed il mio aiuto, riuscì a completarlo. Gradualmente introdussi anche gli altri puzzle, l’ultimo l’ha fatto settimana scorsa!

Il regalo non era sbagliato, era in anticipo per Nina magari sarebbe stato adatto per un altro bambino appassionato ed esperto di puzzle!

Maria Montessori definiva l’adulto curatore dell’ambiente, egli ha la responsabilità di offrire al bambino un ambiente ricco, ordinato, interessante dove possa trovare materiali che lo possano richiamare ed educare.

Cari genitori, questo Natale selezioniamo, controlliamo, adattiamo ciò che offriamo ai nostri bimbi, così come facciamo la spesa accertandoci di ciò che compriamo per nutrire il suo corpo, con uguale attenzione nutriamo la sua mente!

Buon Natale a tutti!

0

Sbucciare il mandarino!? Non sono capace!!

girl-1428018_960_720

In una scuola dell’infanzia, offrendo un mandarino con buccia a ciascun bimbo presente, assisto ad una scena che mi fa riflettere.

Tutti i bambini, ricevuto il mandarino, abbassano lo sguardo e sussurrano: “ma io non so sbucciarlo!”. La maestra presente li sostiene confermando: “si, non sono capaci.”

Io provo a dir loro che non è così, che secondo me ce la possono fare e chiedo loro di provare.

Non percependo entusiasmo distribuisco ugualmente i mandarini e pretendo che ci provino. Inizio la sbucciatura per tutti, incidendo con l’unghia la buccia, perché quello è l’ostacolo maggiore per svolgere l’attività.

Tutti, compresa la più piccola di 2 anni e mezzo, ci riescono, ovviamente.

Non avevo dubbi.

Ad essere perplessi erano proprio i bambini.

Erano rassegnati all’idea di non essere capaci, senza per questo sentirsi a disagio o dispiaciuti. Ciò che mi ha colpito è stata la mancanza di voglia di provarci, la mancanza di interesse per “fare da soli”.

Sono convinta che genitori, educatori, nonni abbiamo il dovere e la responsabilità di non lasciar credere ai bambini d’essere incompetenti.

Dovrebbero invece fare attenzione a che non si spenga in loro la fiammella della curiosità (come la definiva Montessori) e della gioia di scoprire e conoscere.

I bambini si tutelano abolendo il giudizio e non limitandosi ad insegnare, ovvero mettere dentro, ma volendo educare, ovvero tirar fuori, dando spazio al desiderio, alla curiosità e alla passione, che l’adulto dovrebbe “solo” tutelare.

Un bambino è capace a fare qualcosa quando compie l’azione al massimo delle sue possibilità, che ovviamente, non corrispondo alle nostre. Che non sappiano vestirsi alla perfezione, con la pulizia gestuale che è propria dell’adulto, non significa che non sappiamo vestirsi; che si lavino le mani non sciacquandole a sufficienza non vuol dire che non sappiamo farlo.  Significa invece che hanno necessità di fare esercizio, di ricevere consiglio sulla precisione da impiegare, sulla gestualità da compiere, sulle attenzioni necessarie per eseguire meglio.

Il loro agire è migliorabile, certo, come il nostro del resto. Potranno farsi maggiormente abili se avranno la possibilità di provare, sbagliare, esercitarsi e sfruttare i consigli che riceveranno.

Quando versandosi l’acqua con la brocca, toccando il bordo del bicchiere rovesceranno l’acqua della tovaglia, non diciamo loro che non sanno versarsi l’acqua da soli, ma mostriamo loro dove è stato l’errore, riconoscendogli comunque la competenza.

 

2

L’età della socialità

brothers-1878178_960_720 I tempi dei bambini per diventare esseri sociali sono molto personali.

Alcuni bambini di due anni hanno piacere a stare con altri bambini, giocare in gruppo, salutare chi si incontra, accettare perfino una carezza, rivolgere uno sguardo o dire il proprio nome. Altri bambini, no. Preferiscono rimanere in disparte, guardare, stare a casa, salutano poco, difficilmente rispondono ad un estraneo e non si lanciano in attività di gruppo.

Genitori e maestre dovrebbero rispettare l’indole e il temperamento di ciascuno non forzando i tempi ,ma lasciando che il bambino faccia e parli quando si sente pronto a farlo.

“Saluta dai! non fare il timido! “Non essere sciocco!” “come sei! Ti ha solo accarezzato!” “vai a giocare con lei”

Forzare la socialità può rallentare il piacere a stare con gli altri.

Alcune persone si buttano in una nuova avventura senza timore, altri fino a quando non si sentono sicuri di riuscire alla perfezione nell’intento non si sbilanciano. Anche i bambini sono così. Ad esempio durante il periodo di sviluppo linguistico alcuni bambini parlano già quando il loro linguaggio ancora è incerto e poco comprensibile non spaventandosi della possibilità di non essere compresi. Altri bambini  invece, nel periodo che precede l’esplosione del linguaggio pronunciano pochissime parole solo quelle che sanno esprimere con precisione. Lo stesso può valere per la componente sociale: bambini espansivi, pronti al confronto anche in terreno poco sicuro convivono con bambini sociali ed espansivi a casa propria, con i parenti stretti ma che nel gruppo allargato si bloccano, rallentano, osservano, attendono perché non si sentono sicuri. Ciò non significa che i primi siano buoni e i secondi sciocchi,ma sono bambini con un differente temperamento ed una personale indole.

Accettare questa specificità significa permettere ai bambini di non trovarsi in difficoltà o in situazioni che non saprebbero gestire. Ecco perché sarebbe meglio INVITARE a salutare un estraneo, INVITARE a partecipare ad un laboratorio, INVITARE a giocare con un altro bambino rassicurando il bambino che non succederebbe nulla se lo facesse, che può stare sereno, senza insistere, tanto meno obbligare.

Quando il bambino si sentirà pronto e volenteroso ci proverà, lo farà e ci troverà pronti a sostenerlo e di incoraggiarlo.

0

Dire “no” con dolcezza, si può.

portrait-317041_960_720“No! non andare!”

“No! non toccare!”

“No! Aspettami!”

Quando dobbiamo “fermare” un bambino spesso lo facciamo con tono secco, scortese, faccia corrucciata, a volte gridando. Probabilmente per mostrarci più forti o più convinti.

Se ci rivolgessimo ad un coetaneo, ovvero un adulto, a cui dovessimo dire “no!” lo faremmo con altrettanta severità e durezza? O diremmo forse: “No…mi scusi….questo è il mio carrello, l’ho appena preso..” non diremmo certo: “No! lasci il carrello. Subito!”.

Ciò ci dimostra che siamo capaci a dire no, dolcemente, con calma. Per chiunque è più semplice rispondere ad un comando se questo viene dettato con fermezza, calma e rispetto. Perché con i bambini dovrebbe essere diverso?

Un valido esercizio che come genitori ed educatori possiamo fare, per cercare di essere meno violenti durante l’affermazione di un “no!” è quello di provare a non usare più la parola “no!” per indicare il giusto agire al bambino”.

Proviamo a trasformare dei comandi:

“non ti alzare che batti la testa!” diventa “stai basso basso, come un gattino”

“non mangiare con le mani!” diventa  “usa la forchetta per imboccarti”

“non aprire tanto il rubinetto, allaghi tutto!” diventa “apri poco il rubinetto, riuscirai a gestire meglio l’acqua!”

” non toccare!” diventa “allontana la mano!”

“non lanciare! diventa “appoggia piano!”

In questo modo il comando sarà più significativo, perché il “NO!” si arricchisce del suggerimento per fare bene l’azione. Inoltre sarà un intervento costruttivo e non costrittivo. Il bambino saprà qual’è il modo giusto per fare quella cosa e non solamente che non lo deve fare, ciò lo renderà più rapidamente padrone di buone ed efficaci pratiche. Senza il giusto “suggerimento” il bambino magari si fermerà ugualmente, ma non avrà imparato cosa avrebbe dovuto fare e, alla prossima occasione, è facile che sbaglierà di nuovo.

Non dimentichiamoci che dire “no”, non significa sgridare, ma dare un consiglio, un orientamento. Daremmo un consiglio a qualcuno con la faccia ed il tono della voce arrabbiati? Credo di no. Pensiamo al no come ad un consiglio, per fare meglio, e comunichiamolo di conseguenza.

Avviciniamoci al bambino con il quale dobbiamo comunicare, ciò renderà più semplice abbassare il tono della voce ed essere, quindi, più gentili.

A volte si deve dire “no”.

Ma si può dire “no” sorridendo, si può dire “no” abbracciando, si può dire “no” tenendo la mano e sussurrando.

Ciò renderà il bambino maggiormente predisposto ad ascoltarci ed il messaggio più significativo.

Urlare e arrabbiarsi mentre si sta offrendo al bambino un insegnamento (come è il “no”) è controproducente perché è difficilissimo, se non impossibile, apprendere in un clima ostile.

Creiamo collaborazione, un clima agevolativo ed empatico, i nostri bambini si mostreranno certamente più “bravi” ad ascoltare e capire.

2

I bebè non nascono con ciucci e pannolino

 

bimboLe mamme fortunate che dopo il parto possono stare pelle a pelle con il loro bambino si accorgono che i bebè nascono senza ciucci e senza pannolino.

Altre mamme meno fortunate, che vedono il bambino dopo qualche minuto (o ora, purtroppo…) dalla nascita, se li trovano tra le braccia vestiti, lavati, profumati, con il pannolino e, a volta, si sentono dire che devono aspettare solo 40 giorni per dar loro il ciuccio, come se questo supporto fosse obbligatorio.

Oggi voglio ricordare a tutte le mamme che i bambini, non nascendo con il ciuccio incorporato, possono assolutamente farne a meno e che non sono un tutt’uno con il loro pannolino.

Sono dispiaciuta di vedere bambini con il pannolino a 3 anni, sono dispiaciuta di vedere bambini di 3/4 anni parlare con il ciuccio in bocca e sono dispiaciuta di sentire mamme e papà disperati di queste situazioni perché non sanno più come togliere l’uno e l’altro.

.

“Non son più come fare con ‘sto ciuccio! E’ una dipendenza a volte ne vuole anche due!”

“Non vuole saperne di togliere il pannolino, non sta sul vasino, trattiene la cacca e la pipì!”

Sono dispiaciuta perché sono difficoltà che si possono evitare, faticando un po’ di più all’inizio e guardando sempre all’autonomia, invece che alla nostra tranquillità.

Il ciuccio può non essere dato ad un bambino: sono le braccia di mamma e papà, la loro voce, il loro calore, le loro carezze a poterlo consolare, rassicurare, accompagnare nella crescita, dargli pace e sicurezza.

Si, è più faticoso ed impegnativo, fisicamente e mentalmente, ma si può fare.

Il ciuccio è un oggetto freddo, in plastica, senz’anima, immutabile che può creare “dipendenza”. Se riceve un “No!” vuole un po’ di ciuccio, se cade vuole un po’ di ciuccio, se ha sonno vuole un po’ di ciuccio..

Anche la tetta di mamma serve a questo, è la consolazione più rapida e efficace per i cuccioli, ma

la tetta di mamma, o lo stare in braccio, ad un certo punto, crescendo, il bambino li percepisce come strategie naturalmente “forzate”.

Il ciuccio, invece, no. Perché?

Perché la relazione è artificiale, unidirezionale, perché con il ciuccio in bocca possono camminare, giocare, leggere e piano piano lo sentono parte di loro.

Ciucciare la tetta di mamma, invece, prevede un stop dall’attività e quindi una scelta ed una rinuncia che ad un certo punto inizia a stare stretta….

Infatti, il bambino, naturalmente, passando i mesi, prende la tetta sempre meno, perché interessato a fare altro.

Il genitore che decide di dare al proprio bebè il ciuccio, ad un certo punto, decide che è venuto il momento di dire basta e, spesso, è una tragedia.

Stratagemmi, ricatti, premi e punizioni per convincere o obbligare il bambino a lasciare la sua consolazione.

La relazione con un ciuccio non può nascere, evolvere, maturare come il rapporto con la propria mamma, rimane invece fissa ed immutabile.

Dovremmo lasciare che i nostri bambini trovino la forza e il sostegno alle loro difficoltà (addormentamento, cadute, stanchezza, fame, frustrazione) in noi nei primi mesi e poi in loro.

Per quanto riguarda il pannolino, quando un bambino autonomamente sa portarsi nella posizione seduta (intorno ai 7/8 mesi) invitiamolo a fare pipì e cacca nel vasino, iniziando, ad esempio dal risveglio. Se quel tentativo sarà efficace, il bambino inizierà a prendere confidenza con il meccanismo, senza frustrazione o difficoltà. Se il bimbo fa la pipì nel vasino e non dobbiamo uscire, possiamo non rimettergli immediatamente il pannolino, ma lasciarlo un po’ libero invitandolo al bagno dopo un’oretta.

Quando inizio a parlare di pipì, cacca, pannolino da togliere, con un bambino di 2 anni (2 anni e mezzo) devo sapere che sarà più difficile, per lui e per voi.

24 mesi, 24 ore su 24 con il pannolino indossato, non facilitano certamente l’autonomia.

Iniziamo dunque, quando è scomodo per noi e non per loro.

Il genitore ha il potere di favorire o sfavorire l’autonomia del proprio bambino e spesso, soprattutto all’inizio, autonomia del bambino significa maggior sforzo di tempo ed energie da parte del genitore, ma è un investimento sul futuro importantissimo per il proprio bambino e anche per sè.

0

Perché scegliere il bello?

Perché i nostri bambini meritano di vivere in un ambiente bello? cosa significa bello? bello è ciò che è interessante, funzionale, significativo, che può emozionare, colpire e di conseguenza far crescere. Il legno è un materiale naturale, vivo, caldo  profumato, ideale per un bambino in formazione che sta costruendo il suo vocabolario sensoriale ed emozionale. Il bambino ha il diritto di avere a che fare con cose vere, belle, interessanti che possano regalargli sensazioni importanti e significative fondamentali per lo sviluppo dell’intelligenza. La via dei sensi è la strada percorsa dal bambino nei primi anni di vita: egli si forma come uomo attraverso ciò che vede, tocca, annusa, assaggia e sente esplorando e vivendo l’ambiente che abbiamo pensato per lui. L’arredamento dei suoi spazi di vita gli forniscono il nutrimento psichico di cui ha bisogno per svilupparsi.

Sabato 19 novembre 2016 presso la falegnameria Gardiman, http://www.gardiman.it, a Biella, Montessoriacasa in collaborazione con falegnameria Gardiman presenterà il primo pezzo della linea di arredamento per l’infanzia pensata per offrire al bambino un ambiente a sua misura, funzionale, che favorisca l’autonomia, che sia naturale e naturalmente…bello.

Non mancate!

vi aspettiamo dalle 15.00 alle 19.00.

In quest’occasione verrà offerta una merenda speciale a cura di Merende diverse, http://www.merendediverse.com, ci sarà uno spazio dedicato ai bambini e Ruggero Poi, formatore Montessori, presenterà “NENE’ CON L’ACQUA FA DA SE’,  il primo volume della collana per bambini edita da Carthusia, piccole Avventure Montessori.

238da731-d9f2-4892-b758-7e510225bf9afoto-nene-1

1

Riordiniamo

 

Perché nell’ordine si vive meglio, anche e soprattutto i bambini.

Buona lettura!

Metodo Montessori: mettiamo in ordine!

2

Letture su Uppa!

I bimbi piccoli e il loro rapporto con il libro, come gestirlo, favorirlo, gustarlo…..

Montessoriacasa lo racconta su Uppa!

Cosa augurare se non BUONA LETTURA!?

 

Come si legge un libro a un bambino piccolo?

0

Aiutami a fare da me, incontri con i genitori

Domani sera 21 giugno 2016,

a Candelo (BI) via IV novembre 17, presso Trovatempo, la città delle Famiglie, incontriamo le famiglie per confrontarci su come possiamo favorire l’autonomia e l’indipendenza dei bambini nel rispetto dì sé, degli altri e dell’ambiente.

L’incontro è aperto a tutti e gratuito.

Mamme, papà, nonni, educatori vi aspettiamo!

TROVATEMPO perino.jpg

1

COME SI FA AD UBBIDIRE A MAMMA E PAPA’?

IMG_8934

Il bimbo, quando nasce, è fatto di istinti.

La sua mente inconscia e naturale lo guida attraverso il percorso di crescita fisica e spirituale.

Un giorno, scopre che ad un desiderio si può ubbidire, agendo per soddisfarlo.

“Voglio quella palla” è il suo pensiero e le sue mani rispondono muovendosi per afferrarla.

E’ l’inizio della strada dello sviluppo dell’ubbidienza.

I grado dell’ubbidienza

Il bambino quando comincia a dirigere le sue mani e il suo corpo per il raggiungimento di scopi che si è prefissato, entra in quello che Maria Montessori definisce il primo grado dell’ubbidienza.

“So riconoscere i miei bisogni e sono capace a rispondere alla mia volontà”.

E’ un lavoro complesso, lungo e fondamentale per lo sviluppo della personalità dei bambini e tutti hanno il diritto di sperimentare e affinare questa competenza.

Fare dei progetti per se stessi, per crescere e conoscere attraverso l’intervento sull’ambiente.

Spesso, gli adulti, non concedono questo spazio e questo tempo ai bambini, dirigendoli ed indicandogli costantemente la strada da percorrere: “gioca con questo!” “andiamo a leggere!” “vieni a mangiare, lavati!, corri!, riposa!, guarda!, tocca! sorridi! fai ciao! batti le mani! etc…”.

Il bambino deve imparare a sapere quel che vuole e come ottenerlo.

Deve imparare ad ascoltarsi e a riconoscere i suoi bisogni.

L’adulto deve essere consapevole di non poter condurre il volere del bambino, se non forzandolo o costringendolo.

Questa consapevolezza consentirà al bambino un ampio campo d’esplorazione e solo così, il piccolo uomo, potrà procedere verso il secondo grado dell’ubbidienza.

II grado dell’ubbidienza

Ad un certo punto, intorno ai 3/4 anni, il bambino scopre che esiste anche la volontà altrui e che non sempre è in linea con la sua.

Il bambino, padrone di se stesso e in quanto essere sociale, inizia a sperimentare l’ubbidienza ad una volontà altra, ad esempio quella di mamma e papà. Ora il bimbo, ai comandi che riceve dagli adulti ( “prendi la giacca”, andiamo a dormire”, “ riordina quel libro”, siediti un istante ad aspettare”) a volte RIESCE a rispondere positivamente, altre volte no.

E’ un’alternanza sana e fisiologica in quanto il bambino sta imparando ad ubbidire. Spesso l’adulto non accetta questa alternanza e, sentendosi rispondere “si” una volta, pretende che ciò avvenga sempre.

Ma ciò è impossibile.

Solo l’esercizio e l’assenza di giudizio e punizioni permettono un sano ed armonioso sviluppo di una certa competenza.

Il bambino per imparare ad ubbidire (serenamente e con piacere) a qualcuno deve aver sperimentato e imparato ad ubbidire a se stesso.

III grado dell’ubbidienza

Con il tempo il bambino impara a dare maggiore costanza ed ordine a questi due fronti che dialogano con lui: la propria volontà e la volontà degli altri.

Dai 5/6  anni, guarda caso, è il periodo in cui i bambini iniziano a giocare insieme, a stare alle “regole del gioco”, a comprendere che oltre a se stessi esistono anche gli altri.

Da qui in poi, se si è lasciato il tempo al bambino di maturare secondo natura, egli è desideroso di ubbidire ai genitori, ai maestri, desidera ricevere sapere, richieste, perché vuole accrescere la sua persona. Il bambino vuole imparare continuamente cose nuove e gli adulti diventano la fonte principale per arricchire la loro persona ed apprendere nuove competenza e conoscenze.

Da questo periodo il potere dell’adulto di influire sullo sviluppo morale ed etico del piccolo è enorme, perché egli vede nell’adulto una vera e preziosa fonte di sapere.

L’ubbidienza diventa un piacere e una continua occasione per arricchire se stessi.