0

PROVARE PER…CRESCERE!

fotoPoco più di un anno fa ho iniziato a cucire a macchina. Ero assolutamente inesperta, non sapevo nemmeno accenderla! Nei primi mesi ho inceppato più volte il filo, ho cucito più volte tutto storto, ho invertito l’ordine con cui assemblare i pezzi per confezionare dei capi… Nessuno in tutto questo tempo mi ha detto cosa stessi sbagliando e come avrei dovuto fare. Attraverso la pratica, gli errori, gli accorgimenti e i tentativi sono diventa più esperta ed ho sviluppato la capacità di prevedere la conseguenza delle mie azioni. Se faccio così succede questo, ma se faccio cosà succede quest’altro. Ora sono orgogliosa di ciò che riesco a produrre, di come so usare la macchina da cucire e sono capace (quasi sempre…) di riparare i danni che combino! Perchè? Sono autonoma, al mio modestissimo livello, ma autonoma. E man mano che utilizzo lo strumento divento più precisa, più abile, più svelta e posso dare sfogo alla mia creatività.

Questa è la linea educativa che voglio dare a mia figlia: spesso noto che lei non è imprudente o maldestra, anzi è molto prudente e quando sbaglia sta solo tentando di crecere. Solo non è in grado di prevedere le conseguenze del suo agire. Sta perfezionando il movimento, l’abilità delle sue mani attraverso l’esperienza diretta con il mondo. Prova, verifica, tenta, sbaglia, ritenta. Ogni giorno consegue un piccolo grande traguardo lungo la strada della competenza. Non permetterle di sbagliare, cadere, rompere, rovesciare vuol dire impedirle di comprendere e di imparare a prevedere. Ciò che devo fare è offrirle un ambiente adatto, ovvero dove possa trovare stimoli adeguati al suo livello di sviluppo che non siano pericolosi ma neanche troppo scontati. Fare al posto suo o bloccare i suoi tentativi non le insegnerà la prudenza e la precisione, ma la renderà insicura e inesperta. Se tenta di arrampicarsi su un rialzo io le sto accanto perchè lei possa sperimentare la gravità. Magari cadrà, ma solo così potrà capire che il movimento da lei compiuto non era corretto. Se a tavola prende il bicchiere (nel quale ho versato pochissima acqua…) non la blocco per darle da bere, lascio che con velocità lo porti alla bocca magari rovesciandosi il goccio d’acqua sulla maglia che poi metteremo asciutta. Questo le permetterà di comprendere che il suo movimento poco preciso, compiuto con troppa rapidità non le permette di raggiungere lo scopo, bere. Al tentativo successivo son certa che sarà più cauta, bagnandosi un po’ meno, fino a quando tre giorni (o settimane..) dopo lentamente porterà il bicchiere alla bocca e berrà, senza bagnarsi. A quel punto potrò versare un po’ più di acqua all’interno del bicchiere per permetterle di ampliare ancora la sua competenza.

Quando bere sarà un’attività per lei assodata, le permetterò di sperimentare il versare l’acqua nel bicchiere da una piccola brocca, dove inizialmente verserò solo poche gocce d’acqua…

Per ora gioisco nel vederla fiera di sé, orgogliosa di essere riuscita a portare alla bocca un fusillo, senza prestare troppa attenzione agli altri 10 che sono a terra…

3

IL VECCHIO E IL BAMBINO

 

15956616-una-illustrazione-vettoriale-di-una-ragazza-che-piange

 

Il pianto del bambino è programmato biologicamente per essere “irrestitibile”. Il suo scopo è attirare l’attenzione dell’adulto, perchè dietro al pianto c’è sempre un bisogno. Ma a volte l’adulto si crede forte d’animo perchè è in grado di resistere, di non cedere al pianto e questa sua forza è premiata dalla società perchè, così facendo, non si è mostrato debole.

 

FORZA D’ANIMO?! Si, l’ho sentita chiamare così l’indifferenza verso il pianto di un bambino.

Ma non rispondere al pianto del proprio bambino non è forza, è insensibilità ed ignoranza.

 

Il pianto è il linguaggio del bambino che ancora non parla, così come i sorrisi, i movimenti del corpo etc.. Potesse usare la parola ci direbbe: “ho fame!” “ho sonno!” “sono annoiato” “voglio venire un po’ in braccio”. Non potendo comunicare verbalmente, usa il pianto. Acuto, fortissimo. Proprio per non passare inossservato.

Ma niente. Quanti passeggini urlanti si vedono per la strada? Spinti da genitori e nonni che continuano imperterriti per la loro strada come se niente fosse? “Prima o poi smetterà”.

Qualche tempo fa, ero in coda alle 12.30 di una domenica per prendere la fagiolata del quartiere. In coda poco più avanti di me c’era una bambina di un 1 anno e mezzo circa  legata sul passeggino viola in volto da quanto strillava. La madre e la nonna erano alle sue spalle che tenevano il passeggino e chiacchieravano abilmente del più e del meno. Io non potevo capacitarmene. Mi sono dovuta allontanare perchè per me, una estranea, quel pianto totalmente inascoltato era insopportabile, mi lacerava i timpani. Ciò che più mi ha sconvolto è la totale indifferenza del resto dei presenti. Qualcuno lanciava uno sguardo, ma poco altro.

 

Il mio pensiero è questo:

 

Se al posto di quella bambina ci fosse stato un anziano o un disabile, anche loro in carrozzina, anche loro dipendenti dall’adulto, anche loro fragili e da proteggere e anche loro incapaci di esprime il proprio disagio a parole? Cosa sarebbe successo? Come minimo l’adulto che se ne occupava sarebbe stato denunciato! O almeno avrebbe destato indignazione generale. E invece, essendo solo una bambina, non c’era nulla di strano e nulla di male.

 

Ciò mi ferisce, profondamente, ho sofferto, in quell’occasione, come se quella bimba fosse stata la mia. Era chiaro che era stanca (erano 40 minuti che eravamo in coda!) forse aveva fame, forse il sole sotto il quale eravamo le dava noia, forse voleva stare in piedi o forse voleva solo che qualcuno la guardasse. Qualsiasi fosse il suo desiderio è rimasto totalmente inascoltato. Ha pianto tanto e forte per nulla.

dobbiamo ricordarci che i bimbi a forza di piangere e non venire ascoltati ad un certo punto smettono di piangere, non perchè abbiamo soddisfatto il loro bisogno, ma perchè si rassegnano al non ricevere riposte.

 

“Le nostre risposte gli danno la conferma che il suo pianto, ma anche il suo sorriso, i suoi gesti, le sue espressioni, “servono a qualcosa”, stabiliscono un dialogo, lo pongono nel ruolo di protagonista, gli danno fiducia in se stesso e negli altri perchè i suoi sforzi di comunicare non sono vani” (Nessia Laniado Perchè piange? Capire il pianto del bambino per provvedere al meglio. Ed. Red, Milano, 2007)

Diffidate sempre da coloro che scrivono su riviste o consigliano in tv che resistere al pianto di un bambino è segno di autorità, di forza, di autocontrollo perchè è solo una forzatura, un atteggiamento anti-naturale che non può che arrecare danno al bambino e alla sua relazione con l’adulto. L’empatia non si insegna a parole, ma con i fatti, con l’esempio.

Ringrazio la mia mamma e il mio papà per ogni volta che il mio cuore soffre davanti all’indifferenza, e alla sofferenza degli altri.

 

2

Stupido NON è chi lo stupido fa!

SAMSUNGCaso 1: Un bambino di circa 5 anni esce da un negozio, non vede un cartellone appoggiato a terra e lo tocca con il braccio passando, sua madre: “Ma sei handicappato completo o cosa?”

Caso 2:Una bambina di circa 1 anno sta guardando Nina, sua nonna dice: “vedi come è brava questa bambina, non come te che sei cattiva!”

Caso 3: In un bar un bambino di circa 1 anno e mezzo rovescia il contenitore dei tovagliolini sul tavolo, suo papà: “non si fa, sei brutto!”

E’ un dispiacere dirlo, ma sono frasi che sento troppo spesso pronunciare a genitori, nonni e maestre…Il bambino si fida totalmente dell’adulto di riferimento, è per lui l’esempio di vita. Ciò che l’adulto dice è verità. Se l’adulto dice ad un bambino “sei stupido!” egli ci crede e si convince di esserlo davvero. Molte volte l’adulto non intende ferire o insultare il bambino, dice queste frasi senza pensarci, senza riflettere sul peso che le parole hanno per le piccole spugne che i bambini sono!

Il bimbo durante l‘infanzia costruisce la sua persona e l’immagine che si crea di se stesso proviene dalla risposta che le sue azioni ricevono dal mondo degli adulti. L’adulto deve porre la massima attenzione a ciò che dice, come lo dice, quando lo dice. Al suo linguaggio verbale e non verbale.

Ad esempio il caso 2. Questa bambina che abbiamo incontrato probabilmente aveva commesso qualcosa che alla nonna non andava bene (non aveva dormito, si era sporcata, voleva scendere dal passeggino o chissà cos’altro…). Quando la nonna le ha detto “sei cattiva” davanti a noi secondo voi la bambina può aver capito -prima dovevi stare attenta con il gelato, ora ti sei sporcata e la nonna è irritata da questo-?

Certo che no. L’unica cosa chiara per la bimba è: io=cattiva.

A volte un comportamento del bambino si dimostra inadeguato per una certa situazione. Il comportamento, appunto. Non il bambino.

Pertanto è il comportamento ad essere sciocco, imprudente, egoista, capriccioso, maleducato e quant’altro. Non il bambino. Un consiglio è pertanto quello di giudicare il comportamento del bambino, non la sua persona. “Ti sei comportato come un egoista o “il tuo comportamento è stato sciocco” è molto diverso dal dire “sei un egoista” o “sei sciocco”.

Nel primo caso pongo l’attenzione su un comportamento sporadico, definito nel tempo e nello spazio. Nel secondo caso giudico il suo essere.

L’adulto dovrebbe non lasciarsi sopraffare dall’irritazione, dall’impulsività, ma valutare la situazione e avere chiaro il suo obiettivo educativo. Prendiamo il caso 1: La mamma voleva semplicemente che il bambino stesse attento a non inciampare e a non  rovinare il cartellone. Poteva semplicemente dire: “Attenzione! Il cartello!”. L’effetto sarebbe stato lo stesso, il bambino avrebbe schivato il cartellone.

Anche leggere la situazione specifica  è importante prima di intervenire: ci sono molte variabili da tenere a mente prima di fare. Il bambino è stanco o riposato? l’ambiente è adatto? il bambino è in una posizione comoda e sicura? ciò che sta maneggiando è adeguato?

Ad esempio il caso 3: Questo bimbo stava osservando e toccando con cura il portatovaglioli. Quando ha deciso di sollevarlo l’ha impugnato in modo impreciso e gli è scivolato. Se il babbo l’avesse guardato avrebbe notato il suo sguardo deluso e avrebbe capito che era già dispiaciuto e ferito di suo per l’accaduto. Non era sua intenzione farlo cadere. Ma invece il babbo l’ha guardato solo quando ha sentito il portatovaglioli cadere e gli ha detto “brutto!”. Cosa recepisce il bambino? -se faccio cadere qualcosa sono brutto-.

Sarebbe stato meglio che il babbo avesse osservato il suo bimbo e alla caduta del portatovaglioli gli avesse detto: Sai perchè ti è caduto? l’hai afferrato con poca precisione.” Tieni, riprova!”. Oppure, non avendo assistito alla scena: “ Ti è caduto! nulla di grave ! per fortuna era di plastica e non si è rotto!”.

Non solo gli schiaffi devono fare indignare, spesso anche le parole pesanti scagliate come i sassi.

 

5

Il coso e la cosa

nina camelia“ Un essere desideroso di esprimersi ha bisogno di un maestro che gli insegni chiaramente le parole. Possono i familiari agire come maestri? Abitualmente noi non aiutiamo il bambino, non facciamo che ripetere il suo balbettio e se egli non avesse un maestro interiore non imparerebbe nulla. Questo maestro lo spinge verso gli adulti che parlano tra loro e non si rivolgono a lui. Lo spinge ad impadronirsi del linguaggio con quell’esattezza che noi non gli offriamo. Eppure a un anno di età il bambino potrebbe trovare, come nelle nostre scuole, persone intelligenti che gli parlano intelligentemente.”

Maria Montessori, La mente del bambino, Ed. Garzanti 2010

Parlare. Parlare. Parlare. Con chiarezza, calma e usando termini autentici. Fin dall’inizio della vita parlare ai bambini il più sovente possibile è ciò che di meglio possiamo fare. Ogni cosa ha un proprio nome specifico che noi adulti conosciamo e il bambino no. Ogni volta che diciamo “Vuoi questo?” “ prendiamo quello?” dovremmo cercare di nominare con esattezza ciò a cui ci rivolgiamo. “Vuoi questa palla gialla?” “Ti va di assaggiare questa crema di zucchine?”. Anche quando compiamo delle azioni approfittiamone per parlare al bambino. Spesso con i neonati non è semplice trovare di che parlare, una buona strategia è la narrazione di ciò che sta accadendo (vedi il post: “Cucciolo: ecco il programma!” del 21 novembre).

Quando il nostro cucciolo inizia ad indicare ogni oggetto che cade sotto il suo sguardo (di solito intorno all’anno d’età) il miglior aiuto che possiamo offrirgli è nominarlo con lentezza, chiarezza utilizzando termini scientifici. Il primo interesse del bambino che sta costruendo il linguaggio è per i sostantivi (primi termini che utilizzerà) ed è proprio su questi che dobbiamo concentrarci anche noi. Quando il bimbo indica un cane mentre siamo a passeggio diciamo: “Cane!” poi possiamo aggiungere alcuni dettagli: “ Cane! il cane abbaia” oppure “Cane! vedi il suo padrone che lo porta al guinzaglio?”.

Questi sono solo esempi ovviamente, ma quello che voglio dire è che le informazioni che offriamo devo essere poche e chiare in modo che il messaggio recepito dal bambino sia semplice e comprensibile e “immagazzinabile” nella sua interezza. Scegliere di concentrarsi su una caratteristica di ciò che insieme al bambino stiamo osservando è una buona strategia.

Ad esempio: Il nostro bambino è astratto da una piccola piantina nel vaso. Cerca di toccarla. Noi potremmo dire: “Basilico. Questo è basilico, vuoi odorare?”oppure. “Il basilico è una pianta aromatica. Possiamo usarla in cucina per insaporire il cibo”.

Il numero delle informazioni che offriamo deve crescere con il bambino e con la sua capacità di concentrarsi. All’inizio scegliamo se dare notizie sul colore, sul gusto, sull’aspetto, sulla provenienza, su un aneddoto, ecc.

Esempi:

“il basilico è verde. Sia le sue foglie che il suo gambo sono verdi”

“il basilico cresce grazie all’acqua e al sole e alla terra”

“il basilico è molto buono con il pomodoro”

ecc..

Posso aggiungere informazioni quando capisco che il bimbo ne ha bisogno. Quando percepisco che mi sta ascoltando e sta assorbendo.

L’adulto non deve temere di utilizzare parole scientifiche credendole “difficili” perchè tali non sono! La mente del bambino è una spugna che assorbe ciò che l’ambiente gli offre. Più saremo specifici, dettagliati e attenti nel linguaggio maggiormente lo sarà il bambino quando inizierà a parlare. Semplificare il linguaggio per i bambini significa impoverirlo e inoltre vuol dire costringere il bambino a fare un lavoro inutile di “traduzione” dal linguaggio a lui riservato al linguaggio condiviso dal mondo dell’adulto. Ciò che dobbiamo tenere a mente è che ciò circonda il bimbo piccolo non ha ancora un nome e pertanto scoprire che il quadrupede peloso con coda e orecchie è “cane” e non “bau” e che quella cosa profumata con tante foglie e fiori è una camelia e non semplicemente “pianta” è una gran fortuna!!

Per approfondire il tema dell’importanza di parlare ai bambini fin dalla nascita vi consiglio: “Naturalmente intelligenti” John Medina, Bollati Boringhieri, 2011

4

Quando i genitori chiedono: “aiutami a fare da me!”

 

IMG_7074Durante le vacanze pasquali ho riletto i commenti che sono arrivati al blog, specialmente in seguito alla pubblicazione del post “bambini manichini” che tanto scalpore ha suscitato!

Alcune mamme e papà hanno scritto: “eh, ma non conosci mio figlio…”oppure “ non è facile fare così…”, oppure “parlare è semplice ma poi…”.

 

Ho ritenuto pertanto necessario scrivere questo post sul buonsenso e le teorie.

 

Solo mamma e papà conoscono a fondo il proprio bambino: i suoi vissuti, la sua personalità, i suoi bisogni profondi, le sue paure, il suo ambiente di vita.

 

Le varie teorie pedagogiche, teorie sullo svezzamento, teorie sul sonno e quant’altro devono essere intese come strumenti di cui mamma e papà possono disporre. Ciò che i cosiddetti “esperti” consigliano, vogliono essere dei consigli, appunto, spunti di riflessione da sfruttare per l’educazione dei propri figli.

Sono convinta che ogni teoria accolta e messa in pratica senza criticarla e calarla nella propria situazione personale non ha valore.

Ciò è spigato molto bene da Lucio Piermarini (autore dell’autosvezzamento). Piermarini dice che il problema dell’attuale svezzamento dei bambini è da ricercare nella perdita del buonsenso dei genitori! Le mamme non si fidano più dei bambini e del loro istinto materno, ma solo del pediatra! Anche se reputano una pratica inadeguata la adottano ugualmente perchè “l’ha detto il pediatra!”. Il buonsenso materno non trova più spazio e anche se tenta di emergere viene represso, soffocato proprio dalle mille teorie che ci bombardano e alle quali ci affidiamo senza spirito critico. Ritengo che noi genitori non dobbiamo sentirsi minacciati o giudicati dalle teorie e dai consigli che ci vengono offerti, dobbiamo essere sereni del lavoro che stiamo compiendo, se stiamo facendo il massimo per far star bene i nostri bambini!

 

Per esempio anche la stessa teoria dell’autosvezzamento credo che presa alla lettera senza saperla interpretare possa essere inappropriata. Perchè il bambino possa mangiare tutto ciò che c’è sulla tavola permettendogli la massima libertà d’esplorazione del cibo, mamma e papà devono possedere una valida e sana educazione alimentare.

 

Ho sentito di bambini di un anno e poco più intenti a ciucciare costine di maiale alla grigliate…per me questo non è autosvezzamento ma imprudenza ed ignoranza di coloro che ne hanno la responsabilità! Ma non per questo le parole di Piermarini sono dannose, è l’uso che dello strumento che si fa a poter essere pericoloso!

 

L’ autonomia di cui tanto ho parlato nei post precedenti credo che dovremmo ricercarla anche noi genitori ricordando che, come per i bimbi, si tratta di un processo da compiere passo a passo facendosi aiutare dalle teorie, dai libri e dai blog, sempre consci che gli autori del processo educativo siamo comunque soltanto noi.

 

Pertanto “aiutami a fare da me” deve essere il motto montessoriano di ogni bambino e “aiutateci a fare da noi” quello di ogni genitore! L’adulto non può sostituirsi al bambino nel su percorso di crescita: l’adulto deve sostenerlo, incoraggiarlo, creare le condizioni ambientali e relazionali migliori e porre i necessari limiti. Così le teorie devono sostenere, indirizzare, tranquillizzare, stimolare i genitori perchè si mettano in discussione continuamente e possano garantire un ruolo educativo accogliente, sincero, stimolante.

 

 



1

Click-Clack

unnamedClick-clack, schiocca Nina con la lingua, più volte al giorno da ormai qualche settimana. Io e mio marito non riuscivamo proprio a capire il significato di questo nuovo suono. Assomigliava al rumore prodotto dagli zoccoli del cavallo, ma non credevamo potesse essere quello…

Poi ieri sera, mentre in silenzio la osservavo giocare tranquilla nella sua stanza, mio marito si è avvicinato alla porta del bagno, ha acceso la luce e…. click-clack, ha fatto Nina… “Ecco!” ho esclamato “E’ l’interruttore della luce!”.

Ho così chiesto al papà di riprovare un po’ di volte ad accendere e spegnere la luce e ogni volta Nina ripeteva il suono: “CLick-Clack!”.

Quando sorridendole le ho detto: “La luce! L’interruttore della luce! Click-Clack!” Lei ha sgranato gli occhietti e mi ha regalato un sorriso di gioia per esser stata compresa!

questa è la mente assorbente.

Così Maria Montessori definiva quella del fanciullo. Tutto ciò che cade sotto gli occhi, le orecchie, le mani, il naso e la bocca del bambino è cibo per la sua mente e lo assorbe come una spugna per costruirsi come persona. La mente del bimbo piccolo è come una macchina fotografica che immortala e conserva ogni dettaglio dell’ambiente. Solo dopo aver incamerato un gran numero di stimoli attraverso i cinque sensi, inizierà a catalogare, associare, per poi scegliere, preferire, conservare o eliminare.

Un giorno presso l’asilo dove lavoravo, notai una bimba di 2 anni e mezzo dondolare nella stanza cullando la bambola. Il suo modo di ondeggiare mi pareva familiare e così mi misi in disparte per osservarla senza disturbare. Muoveva i piedi esattamente come io muovevo i miei quando addormentavo i piccoli della scuola, teneva la bambola tra le braccia proprio come me e cantava le melodie da me scelte imitando alla perfezione l’intonazione della mia voce! Mi commosse moltissimo, soprattutto perchè non mi ero mai accorta di essere osservata!

Oltre agli oggetti, i suoni e i colori, anche le emozioni, i comportamenti e gli atteggiamenti sono parte dell’ambiente ed i bambini imparano a relazionarsi, a reagire agli eventi e alle situazioni in base alle modalità che hanno assorbito.

L’intelligenza emotiva si educa, attraverso l’ambiente emotivo che viene vissuto ed introiettato.

Perciò non solo dovremmo scegliere un arredo curato per la sua stanza, un colore tenue ed accogliente per le pareti, oggetti belli ed adeguati, vestiti comodi, pappa semplice e genuina, una musica dolce ed armoniosa, ma dovremmo anche scegliere con chiarezza e precisione le parole che pronunciamo, scegliere con cura il tono che usiamo per rivolgerci a nostro marito/moglie/figli, scegliere di reagire con calma e fiducia alle piccole gradi difficoltà quotidiane, scegliere di accogliere un ospite con il sorriso, scegliere di muoverci con ordine nell’ambiente ed avere cura di ogni oggetto che manipoliamo. Tutto ciò senza dimenticarci mai che i bimbi ci guardano, tanto, tanto, ci stimano, ci reputano super eroi in grado di fare cose straordinarie (come scolare la pasta, allacciarsi le scarpe, alzare la tapparella, rifare il letto, lavarsi i denti, pronunciare migliaia di parole, leggere un libro, pettinarsi..) siamo per loro il miglior modello di vita che possa esistere! Cosa può esserci di più gratificare per mamma e papà?!

83

Bambini manichini

scarpe-bimbo Età: 6 anni: Bambino portato a scuola con il passeggino

Età: 5 anni: Bambina vestita da capo a piedi dalla nonna dopo lezione di danza in  palestra.

Età 4 anni: Bambino che mangia imboccato dall’adulto.

Ne vedo di continuo di situazioni simili a queste: bambini che hanno l’età per potersi vestire, muovere e nutrirsi autonomamente completamente sostituiti dall’adulto. Ciò che più mi colpisce e mi lascia amareggiata è la loro rassegnazione. Non sono arrabbiati, ma abituati. Si guardando intorno mentre alzano un braccio o un piede per essere vestiti, mentre vengono trasportati, mentre aprono la bocca per essere imboccati.

Perchè non si ribellano?

Perchè l’hanno già fatto, senza successo, quando avevano 2 o 3 anni d’età. Quando erano nel pieno del periodo sensitivo dell’ “aiutami a fare da me!”. 

Li vedo i bimbi all’uscita di scuola (nido e materna) che urlano e si dimenano perchè vogliono mettere giacca e scarpe da soli, perchè vogliono lavarsi le mani o perchè vogliono camminare per uscire. Ma non gli è permesso: la mamma, il papà o i nonni hanno fretta! E poi perchè “non sono mica capaci da soli! Avranno tutto il tempo per farlo loro!”. 

Così, lentamente, la rabbia del bimbo che reclama autonomia, che l’adulto chiama capriccio, si placa, lasciando spazio alla rassegnazione.

Un giorno, però, quando il bimbo ha 8/9 anni, l’adulto dice “Basta! Ora sei grande e ti devi arrangiare!“.

Ecco, l’adulto ha deciso. Il piccolo deve diventare un ometto, autonomo, bravo e responsabile.

Ma bisogna ricordare che l’autonomia, al pari del camminare, del parlare ha bisogno d’essere seminata e coltivata nel momento opportuno. Il bambino ci mostra precisamente quando ciò deve avvenire, ci sono anni in cui ci chiede autonomia con tutta la forza che possiede. Ma l’adulto interpreta queste richieste forti come capricci. Non si fa interprete del bambino. Non legge il bisogno vitale nascosto dietro alla “scenata isterica“.

Questo momento ideale per lo sviluppo dell’autonomia passa. Dopo, più tardi, per il bambino sarà una grande fatica essere indipendente. Perchè non sarà più spinto da un impulso interiore, da un desiderio profondo, ma dall’obbligo imposto dall’adulto. Vestirsi, camminare, lavarsi da solo saranno un peso, un sacrificio, non una gioia ed una soddisfazione.

Tutto questo per cosa?

Per non ritardare di 10/15 minuti il rientro a casa?

Per non svegliarsi un po’ prima al mattino?

Per non impiegare qualche minuto in più all’uscita della scuola?

Per non accorciare gli spostamenti a piedi?

Io sono fermamente convinta che siano sacrifici che l’adulto deve compiere, perchè, l’autonomia, l’indipendenza, l’autostima sono diritti che il bambino deve vedersi riconosciuti.

0

ORA NON POSSO, DEVO LAVORARE!

Dire che il gioco dei bambini è un’attività serissima è la sacrosanta verità!

L’attività di gioco è quanto più l’adulto deve tutelare con ogni sforzo: giocare per il bambino non significa svagare, perder tempo, sprecare energie, ma, come ci racconta bene Maria Montessori è un vero e proprio lavoro.

nina al lavoroIn quell’attività c’è tutto l’impegno fondamentale per la costruzione della propria persona. Il bambino di 9 mesi intento ad afferrare sta, ad esempio, sviluppando la manualità e di conseguenza amplificando la capacità di agire sul mondo. Il bambino di 1 anno e mezzo che sposta, riordina, travasa sta catalogando le informazioni che raccoglie dall’ambiente sperimentando materiali e mettendosi alla prova. Quando pensiamo al termine “lavoro” immaginiamo un’azione faticosa da terminare il più rapidamente possibile cercando di impiegare il minor sforzo. Il bambino al contrario dell’adulto affronta il suo lavoro con il desiderio e lo stupore di scoperta, di crescita e di soddisfazione. A dividerci è l’obiettivo: l’adulto mira al riconoscimento sociale, economico e al prodotto. Il bambino è concentrato sul proprio sviluppo intellettivo, fisico ed emotivo. Ecco che spesso non comprendiamo l’opera del bambino e lo esortiamo con frasi come: “Vieni che facciamo qualcosa!”, quando il piccolo è alle prese con un cassetto da svuotare e riempire nuovamente. Se può apparirci un’azione banale ed inutile, è invece adatta e stimolante per apprendere nuove conoscenze e per raffinare i movimenti grossi e fini. Il bambino è un grande scienziato sempre pronto a sperimentare attraverso esperienze sensoriali. Scopre così le quantità, il peso, la flessibilità, la duttilità, la temperatura, le dimensioni o la fragilità di un oggetto. Il movimento del “piccolo esploratore” parte dal proprio corpo, passando per quello della mamma (quanto ci toccano ed esplorano capelli, occhi, naso, ciglia, mentre poppano al seno…), e arriva infine ad allargarsi all’ambiente circostante. Quanto più lasciamo i bambini liberi di misurarsi in attività a volte anche incomprensibili a prima vista, tanto più alimenteremo lo scienziato in formazione. Il modo migliore per capirli è osservarli, intervenendo solo in caso di evidente necessità o pericolo. Noi siamo presenti e loro complici, pronti  a capire e adattare sempre più l’ambiente alle sfide che ci pongono davanti agli occhi.