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Genitori esigenti

board-1500370__340“E’ stato qui due ore! Mi ha tartassato di domande, di ogni genere: Quando uscite? cosa fate? perché c’è questo? perché c’è quello? dove mangiano? chi li serve? dove li cambiate? quanti bimbi sono? E basta! Non se ne poteva più!”

Io invece ritengo giusto che i genitori siano esigenti. Gentili e rispettosi, ma esigenti, di sapere cosa, come e perché. I primi anni di vita del bambino sono di fondamentale importanza per la costruzione della loro persona, sono gli anni in cui l’ambiente che vivono li forma e quindi è giusto pretendere il meglio.

Quando scegliamo il posto dove far trascorrere le giornate a nostro figlio (siano 4, 8, 10 ore) dovremmo accertarci che sia il meglio che si possa offrirgli.

Non mi è piaciuto molto, le maestre non mi parevano un granché, ma è comodo, non costa molto…

Credo che scegliere una buona scuola, con valide maestre per i propri figli sia un buon investimento sul futuro. Ci si sacrifica per la macchina, le vacanze, la casa ma per la scuola dei propri bambini si fa fatica

Una scuola vale l’altra..!”

No, io non credo.

Ci sono maestre capaci e preparate che lavorano in ambienti belli, accoglienti, curati e stimolanti. E ci sono maestre che svolgono il loro lavoro con superficialità, incompetenza, svogliatezza in ambienti poco curati, non pensati, abbozzati.

La qualità la fanno le maestre.

Una cara amica e collaboratrice, mi disse: Diffidiamo da una maestra che non sappia rispondere ai perché che i genitori le pongono. Ogni cosa che viene fatta, detta o posta in ambiente DEVE avere una spiegazione perché deve essere fonte di una scelta ponderata.

Allora, ecco alcune indicazioni su come io ho scelto, sceglierei e consiglierei di scegliere la scuola (nido, scuola materna, scuola primaria..) per i figli.

Scelgo la scuola in cui:

1 i genitori possono visitare gli spazi e conoscere le maestre;

2 i bambini possono accompagnare i genitori nella visita…..

2 gli ambienti sono ben illuminati, puliti, arredati con gusto e con oggetti integri e belli;

3 c’è uno spazio esterno;

4 la maestra saluta sia noi (genitori) che il nostro (o i nostri) bambino con un sorriso;

5 bimbi di età differente vivono insieme almeno alcuni momenti della giornata;

6 l’autonomia è realmente favorita: al nido e scuola materna i bambini si possono vestire e svestire da soli senza fretta, collaborano nel momento del pasto in modo attivo (a casa bisogna correre, a scuola no), dormono quando sono stanchi, vengono invitati al cambio quando sporchi;

7 le attività proposte dalle maestre al gruppo sono facoltative;

8 la maestra ci parla in modo gentile e calmo;

9 ad ogni risposta che pongo la maestra sa darmi una solida motivazione;

10 non ci sono moltissimi bambini

visto che le scuole si possono cambiare se non soddisfano le nostre esigenze, confermerei la frequenza in una scuola in cui:

1 quando arrivo non sento sempre piangere qualcuno

2 la maestra mi accoglie al congedo con le stesso sorriso del mattino

3 mio figlio è sereno e contento di andare a scuola

4 la maestra sa regalarmi un piccolo aneddoto della giornata trascorsa

5 i vestiti sono sporchi di terra…

6 l’ultima informazione che mi viene data è se ha mangiato tutto

7 i bambini si salutano tra di loro (almeno scuola materna e primaria)

8 le maestre salutano con gentilezza ed affetto ciascun bambino che lascia la struttura

9 ai colloqui individuali sanno parlarci del NOSTRO bambino

10 i bambini hanno il tempo di “annoiarsi”

Sono solo alcuni consigli ovviamente, i nomi e le targhe non fanno di una scuola una buona scuola.

Solo il nostro istinto ci può guidare così come il benessere dei nostri bambini. Essere esigenti è un dovere in quanto primi responsabili dell’educazione dei nostri bambini; affidiamoli a  chi ci convince e monitoriamo di aver fatto la scelta giusta. Chiediamo ogni volta che abbiamo un dubbio su una scelta fatta dalle maestre e diffidiamo se non otteniamo risposte.

Cerchiamo costantemente la continuità educativa tra scuola e casa perché un ambiente educativo ordinato ed armonico non può che fare bene ai nostri bambini.

Interessiamoci a ciò che hanno fatto, ciò che non hanno fatto, come sono stati con gli altri, durante il pasto, durante l’addormentamento, l’uscita…

E ricordiamo sempre che la compagnia di mamma e papà rimarrà sempre insostituibile!

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I bebè non nascono con ciucci e pannolino

 

bimboLe mamme fortunate che dopo il parto possono stare pelle a pelle con il loro bambino si accorgono che i bebè nascono senza ciucci e senza pannolino.

Altre mamme meno fortunate, che vedono il bambino dopo qualche minuto (o ora, purtroppo…) dalla nascita, se li trovano tra le braccia vestiti, lavati, profumati, con il pannolino e, a volta, si sentono dire che devono aspettare solo 40 giorni per dar loro il ciuccio, come se questo supporto fosse obbligatorio.

Oggi voglio ricordare a tutte le mamme che i bambini, non nascendo con il ciuccio incorporato, possono assolutamente farne a meno e che non sono un tutt’uno con il loro pannolino.

Sono dispiaciuta di vedere bambini con il pannolino a 3 anni, sono dispiaciuta di vedere bambini di 3/4 anni parlare con il ciuccio in bocca e sono dispiaciuta di sentire mamme e papà disperati di queste situazioni perché non sanno più come togliere l’uno e l’altro.

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“Non son più come fare con ‘sto ciuccio! E’ una dipendenza a volte ne vuole anche due!”

“Non vuole saperne di togliere il pannolino, non sta sul vasino, trattiene la cacca e la pipì!”

Sono dispiaciuta perché sono difficoltà che si possono evitare, faticando un po’ di più all’inizio e guardando sempre all’autonomia, invece che alla nostra tranquillità.

Il ciuccio può non essere dato ad un bambino: sono le braccia di mamma e papà, la loro voce, il loro calore, le loro carezze a poterlo consolare, rassicurare, accompagnare nella crescita, dargli pace e sicurezza.

Si, è più faticoso ed impegnativo, fisicamente e mentalmente, ma si può fare.

Il ciuccio è un oggetto freddo, in plastica, senz’anima, immutabile che può creare “dipendenza”. Se riceve un “No!” vuole un po’ di ciuccio, se cade vuole un po’ di ciuccio, se ha sonno vuole un po’ di ciuccio..

Anche la tetta di mamma serve a questo, è la consolazione più rapida e efficace per i cuccioli, ma

la tetta di mamma, o lo stare in braccio, ad un certo punto, crescendo, il bambino li percepisce come strategie naturalmente “forzate”.

Il ciuccio, invece, no. Perché?

Perché la relazione è artificiale, unidirezionale, perché con il ciuccio in bocca possono camminare, giocare, leggere e piano piano lo sentono parte di loro.

Ciucciare la tetta di mamma, invece, prevede un stop dall’attività e quindi una scelta ed una rinuncia che ad un certo punto inizia a stare stretta….

Infatti, il bambino, naturalmente, passando i mesi, prende la tetta sempre meno, perché interessato a fare altro.

Il genitore che decide di dare al proprio bebè il ciuccio, ad un certo punto, decide che è venuto il momento di dire basta e, spesso, è una tragedia.

Stratagemmi, ricatti, premi e punizioni per convincere o obbligare il bambino a lasciare la sua consolazione.

La relazione con un ciuccio non può nascere, evolvere, maturare come il rapporto con la propria mamma, rimane invece fissa ed immutabile.

Dovremmo lasciare che i nostri bambini trovino la forza e il sostegno alle loro difficoltà (addormentamento, cadute, stanchezza, fame, frustrazione) in noi nei primi mesi e poi in loro.

Per quanto riguarda il pannolino, quando un bambino autonomamente sa portarsi nella posizione seduta (intorno ai 7/8 mesi) invitiamolo a fare pipì e cacca nel vasino, iniziando, ad esempio dal risveglio. Se quel tentativo sarà efficace, il bambino inizierà a prendere confidenza con il meccanismo, senza frustrazione o difficoltà. Se il bimbo fa la pipì nel vasino e non dobbiamo uscire, possiamo non rimettergli immediatamente il pannolino, ma lasciarlo un po’ libero invitandolo al bagno dopo un’oretta.

Quando inizio a parlare di pipì, cacca, pannolino da togliere, con un bambino di 2 anni (2 anni e mezzo) devo sapere che sarà più difficile, per lui e per voi.

24 mesi, 24 ore su 24 con il pannolino indossato, non facilitano certamente l’autonomia.

Iniziamo dunque, quando è scomodo per noi e non per loro.

Il genitore ha il potere di favorire o sfavorire l’autonomia del proprio bambino e spesso, soprattutto all’inizio, autonomia del bambino significa maggior sforzo di tempo ed energie da parte del genitore, ma è un investimento sul futuro importantissimo per il proprio bambino e anche per sè.

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Perché vuoi il mio aiuto?

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Fermarsi all’apparenza della manifestazione comportamentale del bambino, ci conduce spesso a fraintendere la vera motivazione che lo spinge ad agire.

I bambini, in piena formazione, stanno imparando a dare un nome ai loro sentimenti, ma ancora non sono “esperti”, a volte faticano a riconoscere la rabbia, la noia, la gelosia, la nostalgia, la stanchezza e vestono queste strane emozioni senza nome con comportamenti che conoscono molto bene: “Mamma mi aiuti a disegnare?” può celare una necessità relazionale profonda e non bisogno di aiuto a svolgere l’attività. Potrebbe essere gelosia, il bimbo vorrebbe ricevere lo sguardo della mamma, magari impegnata con un fratellino. Oppure semplice bisogno di affetto e di attenzione.

Questo non significa che non debba riceverne, anzi dovremmo offrirgliene ancora di più e aiutarlo nella lettura dei suoi sentimenti.

Disegnando con lui potremmo dirgli: “Stiamo bene insieme?” “Avevi tanta voglia di fare qualcosa con la mamma?” Dopo qualche tempo potrebbe riuscire a dirci: “Mamma stai un po’ con me?”.

Un bimbo di due anni, ad esempio, abilissimo nel mangiare autonomamente, una sera chiese: “Papà mi imbocchi?”. Il papà, strabuzzando gli occhi, rispose “Ma certo che no! sei bravissimo da solo!”. Il bimbo scoppiò a piangere, smise di mangiare e chiese di essere preso in braccio. Il padre insistette a non aiutarlo, continuando a sostenere quanto il bimbo fosse bravo, grande, autonomo. Ma il problema era proprio questo: essere grande, bravo e autonomo.

Per un attimo voleva essere piccolo, dipendente e impacciato proprio come la sua sorellina di pochi mesi in braccio alla mamma!

Il bimbo ha cercato una modalità comunicativa con cui aveva confidenza (chiedere di essere imboccato) per esprime un’emozione. Era troppo piccino per poter dire: “ Papà sono geloso, voglio anch’io essere piccolo come lei e stare in braccio alla mamma, ma siccome lei è impegnata, non è che mi coccoleresti un po’ tu?”.

Non essendosi sentito compreso, il bimbo scese da tavola, con gli occhi bassi, rassegnato.

Il padre a questa reazione concluse con: “Se non hai più fame, mangerai domani!”.

Come potrà sentirsi il bambino? Cosa può aver compreso da questa situazione?

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Tentar non nuoce!

Giuseppe, di 7 anni, sta tentando di allacciare la cintura di una sdraietta, ma non riesce a portare a termine il suo intento. E’ molto concentrato, da bravo piccolo scienziato, a comprendere il motivo del suIMG_9028o insuccesso. Prova ancora, con calma, sereno e curioso di capire. I suoi gesti sono lenti, passa la cintura in ogni direzione per cercare di capire l’inghippo.

Un adulto che si trova nella stessa stanza, seduto ad un tavolo con altri ospiti, lo nota e immediatamente dice: “Son due cinture, stai sbagliando. Devi passare da dietro e quell’altra va sotto, altrimenti non puoi riuscire.”

Il bambino cambia espressione. La sua concentrazione è sparita e comincia a comunicare con l’adulto che ora è diventato il suo punto di riferimento:

“cosi? è giusto? va bene?”

l’adulto tenta di guidarlo a parole per “aiutarlo” a risolvere il suo “problema”.

I gesti di Giuseppe sono diventati goffi, tenta di seguire i comandi vocali senza ben comprenderli. Dopo un po’ di tempo, non pienam
ente consapevole del processo, allaccia la cintura, senza entusiasmo.

Giuseppe voleva riuscire in autonomia ad allacciare la cintura, non avere la cintura allacciata.

Ce l’avrebbe fatta, se fosse stato solo…

Lo scopo dell’agire dei bambini è spesso comprendere il processo delle cose, non il risultato.

Era immerso nel flusso della concentrazione, dal quale sarebbe emerso vincente, appagato e cresciuto.

La Montessori la chiama pazienza: la virtù di saper attendere il manifestarsi del bambino.

Prima di intervenire deve chiedermi: E’ necessario? lo faccio per sentirmi utile ed importante o perché il bambino ne ha realmente bisogno e sta cercando aiuto?

Osservando attentamente un bambino all’opera con la vita, si può comprendere quanto spesso noi adulti siamo, in buona fede, disturbatori del loro sviluppo.

Dovremmo provare, quando le circostanze lo permettono, a farci da parte.

“E’ necessario che io diminuisca perché egli cresca” diceva Giovanni Battista.

Spesso è l’amore, il bisogno di sentirci utili che ci spinge ad agire ed intervenire nel percorso di crescita dei bambini, ma è necessario valutare ogni  intervento con calma, pazienza e fiducia. Se serve è mio dovere e responsabilità supportare se invece non sono necessario, umilmente, direbbe la montessori, devo farmi da parte e osservare, osservare, osservare il bambino all’opera per la costruzione di sé.