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Mamma, chi è “tre”?

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Mamma, chi è “tre”?

Questa la domanda che mi ha rivolto Lea (3 anni), una mattina di dicembre.

Che 3 è un numero, Lea lo sa. Come contare fino a 3 anche. Così mi sono chiesta: “come posso dargli una risposta che le insegni qualcosa in più di quel che sa?”

Montessori ci dice spesso nei suoi testi che ciò che conta è mantenere vivo l’interesse e “sfruttare”, “prendere al volo” le domande dei bambini. Ovvero, quando la curiosità del bambino si posa su un argomento è l’occasione perfetta per parlarne e seminare, certamente il terreno si rivelerà fertile. 

Così ho letto quella domanda, come il momento opportuno per fare una breve ed attraente “lezione” di matematica. Ho preso un foglio e ho scritto 3 e poi ho improvvisato una sorta di racconto mentre scrivevo lentamente tutti i “protagonisti” :

“Ma 3 non è solo, vicino a lui c’è 2 e 4 che a loro volta hanno dei vicini. 1, 5. E poi c’è 6, 7,8,9 il più grande di tutti. lnsieme formano la famiglia delle unità.”

Poi ripentendo lentamente i numeri abbiamo messo i pallini sotto ciascun numero. Con i chicchi di riso, Lea ha riempito ciascun pallino, andando a svolgere un esercizio di conta dall’uno a nove. 

Il tutto è durato una decina di minuti, tempo massimo prima che il suo interesse venisse meno. 

Non occorre possedere materiale scientifico montessoriano per avvicinare a casa i bambini alla matematica, alla lettura o alla scrittura o alla geografia, anzi al contrario: il materiale didattico deve stare a scuola in mano a maestre formate per utilizzarlo al meglio. A casa, i piccoli, devono trovare materiale costruito, improvvisato e abbozzato da mamma e papà, che profuma di casa che sia caldo, domestico ed unico. 

Ciò che conta è invece la modalità con cui Montessori ci insegna ad insegnare: 

Non interrogare il bambino;

Incantarlo con la narrazione;

Mantenere vivo l’interesse non offrendo spunti di riflessione troppo complessi o troppo semplici, ma un po’ più difficili rispetto a ciò che il bambino già sa;

Essere semplici, profondi e scientifici contemporaneamente;

Adattare la lezione al ritmo e alla modalità più consona per quel bambino;

Ricercare sempre ordine ed eleganza nell’esporre il materiale.

Ciascun genitore può riuscirci, ascoltando il proprio bambino, lasciandosi andare alla propria fantasia e facendo propri strumenti di “lavoro” come ceci, cucchiai, pentole, spugne, spazzolini, terra, farina, fogli, colori e chissà cos’altro…

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“Ma che fai?!”

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Nina, 2014 “il porta spezie”

“Ma che cosa stai facendo..?” pensano mamma e papà, vedendo una figlia arrampicarsi su un porta spezie.

Ho ritrovato questa foto e ho pensato di condividere una riflessione. Nina, si era stufata di infilare i barattoli delle spezie nei fori (attività di sviluppo della manualità fine). Il suo interesse stava andando altrove: movimento, equilibrio, provare a rispondere alla domanda “riuscirò a salire qua sopra in piedi?”.

Noia e/o  frustrazione invitano i bambini a ripensare a ciò che hanno davanti:

“Mi sono stancato di pestellare…. adesso uso il pestello da microfono!”

“Non riesco ad infilare questa perla nel filo: lancio tutto!”

Questo pensiero, non lo rendono esplicito, ovviamente, e ciò che offrono all’adulto è solo il comportamento che ne consegue: il lancio di perle e filo, la cantata a squarciagola con il pestello e l’arrampicata!

La Montessori la chiamava umiltà, quella virtù del genitore e della maestra di rivedere un proprio progetto o una propria intenzione a favore del bisogno del bambino.

Il pensiero umile è: “Di ciò che stai facendo, che ti ho allestito e proposto con gioia ed entusiasmo, non te ne può importare di meno. Ora hai bisogno d’altro”.

L’altra virtù che Montessori, forse troppo fiduciosa nel genere umano, attribuiva all’adulto educante è la pazienza.

il pensiero paziente è: “Ora ti osservo per qualche istante “maltrattare” il  mio lavoro per capire dove diamine vuoi andare a parare….che cosa vuoi?”

Il bambino agendo mi dice delle cose, la mia predisposizione all’ascolto e all’accoglienza della sua estrosità, mi può far capire il suo volere.

Ora è tempo di agire.

La parola attenta ed amorevole può manifestarsi:

“Non hai più voglia di pestellare. Forse ti sei stancato. Riponi pestello e mortaio e cerca qualcos’altro da fare che ti interessi. Se ti torna la voglia di pestellare, sai dov è!”

“Sei stufa di infilare i barattoli delle spezie. Riponiamolo e usciamo, andiamo in giardino, potremmo arrampicarci un po’”

“Non riesci ancora ad infilare le perle nel filo. Non preoccuparti, vedrai che con un po’ di esercizio diverrai abile Riponiamo il lavoro insieme. Vuoi infilare questi bottoni nella scatola forata? o preferisci fare altro?”

Ma stava già cantando con il pestello e arrampicandosi, perché impedirglielo?

Il pestello non è un microfono e il porta spezie non è un rialzo. Il loro scopo è un altro. Confondere e liberamente interpretare gli scopi degli oggetti non è sempre possibile (se mi pettino i capelli con la forchetta come Ariel, non mi è consentito.. così come bere dal vaso dei fiori, giocare a palla con la sfera in vetro della neve…) e la capacità di discernere possibile da impossibile, pericoloso/innocuo, igienico/anti-igienico non può essere posseduta da un bambino piccolo (matura con il tempo), pertanto il pestello pestella e basta.

Per ogni azione un oggetto, uno spazio ed un tempo.

Indicare questi confini è responsabilità dell’adulto educante, scegliere cosa si ha voglia di fare è diritto del bambino.

 

 

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“Dimmi perche’ piangi!?” “Ma io non so parlare!!”

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Oggi parliamo di pianto. Quanto è frustrante il pianto inconsolabile di un bambino che ancora non sa comunicare in altro modo? Quanto ci si sente impotenti?

Proviamo a capire se ci sono delle strategie per gestire la situazione, ricordandoci sempre dell’enorme potere del contagio emotivo: se io sono calmo, trasmetto calma e genero calma; se sono irritato genererò irritazione.

Poniamo il caso di trovarci di fronte a Giuseppe, di anni uno.

Possiamo essere: la sua mamma o il suo papà, la sua tata, un nonno o una maestra.

Giuseppe piange, non ancora disperatamente ma piange. Sentiamo la responsabilità di mettere a tacere quel pianto.

Come?

Iniziamo con il provare a pensare di voler rispondere ad un bisogno, invece che voler modificare il comportamento del bambino.

Andando per esclusione, eliminiamo ciò che può risultare inefficace o addirittura dannoso.

Non serve….

…chiedere a Giuseppe di smettere di piangere;

…sgridarlo: piangere non è una colpa, ma una manifestazione del proprio sentire;

…lasciarlo solo: ne patirà la sua autostima e crederà di non essere amato.

Quindi che fare?

Facciamo una analisi graduale delle possibilità dell’origine del pianto di Giuseppe.

Primo livello

Indaghiamo il soddisfacimento dei bisogni primari:

-ha male? (è caduto? ha il ventre molto contratto? si è ferito? ha la febbre?)

-ha sete? (da quanto non beve? fa caldo?)

-ha fame? (da quando non mangia?)

-ha freddo? (tocco mani e piedi, schiena)

-ha caldo? (è sudato nel collo?)

-ha sonno? (da quando non dorme? come ha dormito durante il riposo precedente? sfrega gli occhi? si tocca le orecchie? china di lato la testa?)

Naturalmente capissi che una di queste può essere la causa del pianto, risolvo il bisogno, se non è possibile farlo nell’immediato lavoro per soddisfarlo e nel frattempo lo consolo e lo aiuto nella gestione della frustrazione: “Hai fame, lo so. Vieni in braccio a me, andiamo a preparare il pranzo”.

Giuseppe non piange più (o un po’ meno, perché ci stiamo dirigendo in cucina…).

Se non si tratta di un bisogno primario, Giuseppe piange ancora.

Quindi è necessario passare alla fase 2.

Secondo livello

Se Giuseppe piange ancora forse ha bisogno di contenimento, coccole, rassicurazione. Magari si sente disorientato, qualcosa lo spaventa (le luci, un suono, soffre dell’assenza della mamma).

E’ questo il momento per provare a cullarlo, accarezzarlo e tenerlo stretto fino a quando, soddisfatto e sazio dell’affetto ricevuto non darà segni di voler scendere a terra.

Ma magari Giuseppe non ha voglia delle coccole, non si da pace neanche in braccio.

Allora l’indagine necessita lo slittamento al terzo livello.

Terzo livello

Arrivati a questo punto ciò che può generare il pianto di Giuseppe è la noia.

Può essere che Giuseppe non trovi nulla nell’ambiente in cui si trova che desti il suo interesse.

In questo caso la sua fame è psichica. Vuole fare qualcosa di interessante.

Ecco necessario osservare l’ambiente e chiedersi: può Giuseppe in autonomia raggiungere e manipolare qualcosa di interessante che possa regalargli un’esperienza educativa?

Se la risposta è no, non mi resta che provare ad estinguere il suo pianto ponendo alla sua portata un materiale da manipolare o una semplice attività da svolgere:

-un cestino dei tesori

-una palla morbida

-uno strumento musicale

-due contenitori identici per travasare noci

-anelli in legno da infilare in un’asta rigida

-un po’ d’acqua in un catino da osservare, manipolare, travasare (se estate o in casa..).

Il pianto, che poi si trasformerà in parole, è sempre motivato è pertanto va accettato, accolto ed ascoltato.

Offrire ad un bambino assettato o assonnato un travaso e’ frustrante: egli smetterà di piangere solo per sfinimento, senza toccare o lavorare concentrato con il materiale proposto. Così dare da mangiare o invitare al sonno un bambino che vuole “lavorare” ovvero sfamare il suo bisogno di sapere e di crescere è inutile.

Se Giuseppe riceverà comprensione ed ascolto sarà poco nervoso e molto fiducioso nell’adulto che si occupa di lui.

Lentamente l’adulto può imparare a prevenire il pianto e leggere ed interpretare i segnali del bisogno che precedono le lacrime.

Per farlo occorrono “solo” due virtù, che la Montessori definiva pazienza ed umiltà.

 

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Mamma, ma tu muori?

little-girl-1894125_960_720“MAMMA ESISTE BABBO NATALE?”

“DOV’E’ E’ ANDATA LA NONNA QUANDO E’ MORTA?”

“TU MUORI? E IO? COSA MI SUCCEDERA’?”

Eran le nove al dilà del porto

si sente dire che il grillo l’è già morto

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Eran le dieci al dilà del prato

si sente dire che il grillo è sotterrato

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questo è l’ estratto di una canzoncina da cui sono partite le domande di mia figlia di 4 anni su: morte, sepoltura, paradiso.

Non dire la verità, significa mentire.

La scelte da fare sono molteplici quando si intende rispondere.

Scegliere se dire la verità è la prima scelta.

Optato per la verità, bisogna decidere come porsi nei suoi confronti.

I genitori hanno la responsabilità dell’educazione morale dei propri figli e se non se ne occupano qualcuno lo farà al posto loro.

Ciascuno ha le proprie idee in merito alle credenze e alla spiritualità. Si può essere credenti o laici e in ogni caso si può scegliere di prendere una certa posizione verso le domande dei propri figli.

E’ onesto dire ad un bambino che non esiste una verità assoluta, ma che ciascuno sceglie la risposta che lo fa sentire meglio? Non so, ma è ciò che ho scelto di fare io.

Babbo Natale

Babbo Natale esiste se vuoi che sia così. 

Nessuno non lo sa con certezza, perché nessuno l’ha mai incontrato. 

E’ una storia che viene narrata da moltissimo tempo che rende felici grandi e piccini. Lo stesso personaggio prende nomi diversi a seconda del paese in cui vivi. Ma ovunque è un personaggio che rende magico un importante periodo dell’anno. 

Se vuoi puoi credere che esista, oppure no. 

Se ci credi, come te lo immagini? 

La morte

Quando si muore il cuore smette di battere e il corpo si spegne, non funziona più. Non entra aria nei polmoni, non circola più il sangue e gli organi si fermano definitivamente. 

Il corpo degli uomini in tutto il mondo viene sepolto o bruciato, per motivi igienici e per rispetto. Cosa succeda ai propri pensieri o alla propria anima, nessuno lo sa con certezza. Nel tempo sono nate molte storie: qualcuno ha descritto il paradiso e l’inferno come posti in cui si torna a vivere (tralascerei il concetto di premio e punizione…), qualcuno la reincarnazione: la nostra anima va ad abitare un nuovo corpo e torniamo al mondo sotto altre sembianze. 

Qualcuno ama pensare che i nonni quando muoiono diventino stelline nel cielo che continuano a guardarci. 

L’unica certezza che abbiamo è però cosa succeda al nostro corpo. 

Il resto è costruito dai popoli in base al proprio sentire, bisogno e piacere. 

A questo punto si può esprime il proprio pensiero e chiedere quello del bambino.

I genitori con forti convinzioni o credenze che desiderano tramandare ai propri figli, ritengo debbano “esporsi” offrendo la loro posizione in merito all’argomento. Ciò può non escludere comunque l’illustrazione dell’esistenza di altre tesi ed opinioni. La credenza di mamma e papà è giusto che sia conosciuta dai figli che dovrebbero potere essere coinvolti, contagiati dai valori familiari e allontanarcisi nel momento in cui sentissero di non riconoscersi.

La stessa trasparenza ed onestàè importate, a mio avviso, offrirla in ogni risposta che si da ad un bambino: “cosa succede quando si soffoca?” “cos’è il tumore del nonno?” “ma tu muori?” e così tante altre.

Ritengo i bambini molto più forti e pronti ad accogliere la verità, la differenza e l’incertezza di quanto si creda. Sanno elaborare in modo razionale e profondo attraverso importanti associazioni di idee vissuti ed emozioni di varia natura.

Ritengo non si debba sottovalutare la loro intelligenza, ma elogiarla attraverso il rispetto, la verità e l’investimento di tempo ed energia per rispondere scientificamente ed esaustivamente alle loro domande.

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“QUI ABITA UN BAMBINO”

36309641_2058925494149339_8937172166621790208_nSONO LIETA DI ANNUNCIARE L’USCITA DI

“QUI ABITA UN BAMBINO” AMBIENTI E ATTIVITA’ MONTESSORI PER FAVORIRE L’AUTONOMIA IN CASA, OGNI GIORNO

IL LIBRO NASCE DAL DESIDERIO DI RACCONTARE LA CASA, COME “NIDO” PER LA FAMIGLIA, CULLA DELLE RELAZIONI, DEI SENTIMENTI, DELLA CRESCITA, DELLO SCAMBIO, DELLE LITI E DELL’AMORE.

TRA LE PAGINE, ATTRAVERSO MOMENTI DI RIFLESSIONE, IDEE PER ATTIVITA’ E ARREDI, I GENITORI SARANNO ACCOMPAGNATI DA UNA STANZA ALL’ALTRA ACCOMPAGNATI DA QUATTRO FAMIGLIE CON  I LORO BIMBI DA 0 A 8 ANNI CHE VOGLIONO DIVENTARE GRANDI!

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I BAMBINI ANIMATI

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Animatore

Animazione

Animare i bambini.

Animare significa dar vita, infondere l’anima.

Come se i bambini l’anima non la possedessero, come se l’adulto fosse indispensabile per la crescita personale dei cuccioli d’uomo.

L’adulto spesso si crede capace di plasmare l’essere che il bambino in realtà è sin dalla nascita. 

I superpoteri che gli adulti si attribuiscono sono sconfinati. 

Succede che il bambino nasca con tratti personali molto distanti dall’ideale di mamma e papà e ciò può turbare, destabilizzare l’adulto. Il desiderio di “raddrizzare”, “reindirizzare” quell’animo verso terre più conosciute si fa sentire. 

Ciò che non si conosce spaventa, meglio mutarlo o travestirlo perchè diventi più rassicurante.

Così può succedere che inconsciamente, o con consapevolezza, l’adulto tenti verbalmente e relazionalmente di “modificare” il comportamento, il pensiero, l’atteggiamento del bambino per renderlo simile a se o al proprio ideale.

Lottando con la sua persona, combattendo perché egli cambi a favore dell’adulto.

E’ una strada ardua e costantemente in salita poiché i bambini sono forti e si battono con caparbietà, costanza fino a che resistono.  

Ma i bambini non hanno bisogno di questo. 

I bambini necessitano di silenzio, di calma e di tempo per conoscersi, per ascoltare la voce di quell’anima che c’è dentro di loro e che già ha una sua definizione e attende semplicemente d’essere scoperta, in primis dal bambino e poi da chi gli  sta accanto.  

Montessori lo chiamava Il segreto dell’infanzia quel mistero custodito nell’animo di ciascun bambino che va lasciato libero di manifestarsi, di farsi vedere e scoprire. 

Il genitore dovrebbe porsi curioso e trepidante di assistere allo sbocciare del proprio bambino, gradualmente, giorno dopo giorno. 

Senza fretta, senza pregiudizi, senza progetti, ma solo con la responsabilità di farsi modello di giustizia, bontà, gentilezza, comprensione, calma ed intelligenza valori che andranno ad integrarsi con il carattere del bambino, che si incarneranno in lui con naturalezza, pazienza e gradualità.

Il bambino, facendosi adulto, imparerà ad adattare la sua persona ai vari contesti, alle esigenze familiari e sociali per farsi uomo sociale.

Cosa gli piacerà? Cosa odierà fare? Con quali strategie tenterà di aver ragione? Quali saranno i suoi punti di forza? La dialettica? La simpatia? L’ironia? Amerà la solitudine o il chiasso? Farà facilmente sforzo fisico o amerà tribolare nel cercare il termine più corretto? Come dimostrerà il suo affetto, riempiendo di baci o con un sorriso? piangerà se triste, urlerà o si chiuderà nel silenzio?

Nessuno lo può sapere, perché l’essere umano è in unica copia. 

Lasciamo che egli cresca secondo il suo disegno e quello di nessun altro.

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ALT ai pennarelli fino ai 4 anni!

color-787251_960_720Si, può sembrare un’affermazione un po’ forte. Ma chi non è d’accordo che un pennarello sia un’arma in mano ad un cucciolo di due o tre anni?! Non solo per divani, tavoli, muri, vestiti o armadi, ma anche per lo sviluppo della loro competenza manuale.

Perché la matita colorata?

La matita colorata, il pastello per intenderci, necessita di concentrazione per “funzionare”. Se viene impugnato in modo scorretto, quando si traccia non si vedrà alcun risultato. Inoltre con il pastello è necessario scegliere la pressione da utilizzare e il bambino può facilmente comprendere, in autonomia, che troppa poca pressione non genera traccia e per ottenere un tratto spesso bisogna usare molta pressione.

Così il bambino dovrà ragionare sull’utilizzo dello strumento, sperimentarlo, introiettando quali sono le azioni necessarie per ottenere il risultato voluto.

Cosa succede invece con il pennarello?

Qualsiasi impugnatura scelga il bambino, lo strumento funzionerà. Può tracciare guardando altrove. Qualsiasi pressione faccia il risultato non cambia.

E’ un materiale, ovviamente, povero dal punto di vista del potere educativo: non insegna al bambino, l’attenzione, l’impegno, la calma e la concentrazione così come la gestione della frustrazione e non gli permette di “lavorare” sull’impugnatura giusta che gli occorrà al tempo della scrittura.

Un tempo per ogni cosa

Montessori dava occasione al bambino di prepararsi alla scrittura molto prima che fosse giunto il tempo di scrivere questo perché, quando intorno ai 4 anni, il bambino mostra interesse per le lettere, la sua mano sarà già educata a rispondere ai comandi, a seguire una traccia, a mantenere una posizione, a rallentare, curvare. Questo perché sarà una manina allenata ed educata.

Come si educa la mano?

Offrendo continue occasioni di affinamento del coordinamento motorio: infilare, sfilare, aprire, chiudere, separare, così come tracciare con matite e pennelli. Più le esperienze saranno formative, interessanti e un po’ sfidanti, maggiormente e più in fretta il bambino diverrà abile.

I bambini non amano più i pennarelli che pastelli, ma spesso sono abituati a “non faticare troppo” per ottenere ciò che desiderano. La sua frustrazione immediata difronte alla difficoltà spesso viene accolta rimuovendo l’ostacolo, invece che insegnando a gestire l’impotenza.

La matita colorata è uno strumento più complicato e quindi viene offerto al bambino più grande. Il pennarello che è “facile” a quello più piccolo.

Ma questa scelta è comoda, non educativa.

Il facile pennarello, va conquistato.

Perché sono stati inventati i pennarelli lavabili e a tossici?  Perché sono stati messi nelle mani di bambini incompetenti (non per colpa loro, ma per naturale immaturità).

Un bambino di 5 anni, se possiede “mani educate” difficilmente si sporcherà tutte le dita tracciando, o i vestiti, o muri, divani, tavoli e sedie così come difficilmente lo metterà in bocca per sapere che sapore ha .

Un bambino di 5 anni userà i pennarelli, non come mezzo di esplorazione, ma come strumento per colorare grandi superfici, per inventare personaggi, storie ed avventure, esprimersi e rielaborare vissuti.

Invertite la tendenza! Alt ai pennerelli fino ai 4 anni a casa e a scuola.

Ne gioveremo tutti: mamma, papà, muri, divani e naturalmente i bambini (a lungo termine…)!

 

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“La libertà, non è star sopra un albero, non e neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” G.Gaber

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La libertà

E’ tempo di riflette sul termine libertà, su chi sia un bambino libero, su cosa comporti in termini educativi.

Spesso incontro genitori “schiavi” della libertà dei propri figli, incapaci di dire “no” credendo di limitare il proprio figlio ingiustamente e così limitano se stessi, tacciono i loro bisogni e le loro emozioni per dare spazio solo al volere dei più piccoli.

Ma la libertà è partecipazione, per essere liberi occorre saper guardare ed ascoltare gli altri. Educare alla libertà significa educare all’ascolto e al rispetto, prima di tutti di mamma e papà.

Quando si parla di bambini liberi, spesso ci si immagina un bimbo, anche molto piccolo che sceglie costantemente: cosa fare, cosa mangiare, come vestirsi, se andare a fare la spesa, se stare seduto a tavola, se prendere la macchina o andare a piedi forse decide anche per mamma e papà, se possono parlare, se devono giocare, a volte se possono addirittura farsi la doccia…

Questo però, non è un bambino bambino libero, ma un bambino cui vengono delegati compiti e responsabilità educative che non gli competono ma che dovrebbero essere in carico al genitore.

Spesso decidere per i bambini o lasciare che siano loro ad auto-gestirsi, sono scorciatoie “facili” che non prevedono la fatica dell’equilibrio.

Immaginiamo di dover rispondere ad un bambino, di 3 anni che vuole vestirsi in autonomia al mattino.

Esisto tre strade percorribili:

No, scelgo io 

Scegli pure quello che vuoi 

Puoi scegliere tra questo. (dopo aver selezionato capi adeguati alla stagione e al contesto)

La terza via è quella che richiede per il genitore, il maggior investimento di tempo e di energia, ma è anche quella più rispettosa del bambino.

Affidare ad un bambino di tre anni la gestione di un armadio 4 stagioni, consentendogli di uscire di casa a gennaio con vestiti dell’estate, non significa lasciarlo libero, ma farlo disperdere in un mare troppo vasto perché lui lo  possa governare.

Un bambino libero non è senza limitazioni, anzi conosce benissimo i confini, sa rispettarli, sa contenersi e gestire la frustrazione come la rabbia e la noia. Questi limiti gli sono stati presentati da sempre, con amore e comprensione, non come punizioni ma come aiuto alla vita.

Un bambino libero accetta il “no” perché conosce il “si”.

Egli ha sperimentato in modo graduale, commisurato alla suo grado di maturità, l’azione libera vivendosi le relative conseguenze e le eventuali frustrazioni.

Attraverso i “no” possiamo educare alla libertà. Concedendo sempre maggiore spazio al bambino mano a mano che diventa competente. Una volta che il bambino conquista un’abilità (ad esempio la capacità di salire le scale o di mangiare, o di pettinarsi) nessuno gliela potrà togliere o limitare.

Dove è libero un bambino?  Dove è in grado di gestirsi, dove sa agire senza essere irrispettoso, offensivo o doloso verso di sé, gli altri o l’ambiente.

Pretendere l’attenzione dell’adulto perché si vuole parlare in quel preciso istante è offensivo e irrispettoso. Ma il problema sta nell’adulto che lo concede: se due adulti stanno parlando ed un bambino di inserisce nella discussione pretendendo l’attenzione immediata, dovrà ricevere una limitazione.

Attendi un istante, tesoro. Sto parlando. Appena ho finito ti ascolterò.” Questa risposta non è “crudele”, ma educa alla libertà insegnando una regola sociale: la mia libertà inizia dove finisce la tua.

Il contesto giusto, per il bambino,  in cui sperimentare limiti, regole, sociali, frustrazione o rabbia è proprio quello familiare, perché in nessun altro contesto sarà mai così amato, accolto ed ascoltato, nel suo malessere.

La libertà si conquista gradualmente, i genitori devono desiderare concedere libertà ed educare bambini liberi, ovvero capaci di limitarsi per garantire e proteggere la libertà di tutti.

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I regali di Natale

coverIl Natale è alle porte! I nostri bambini riceveranno, come sempre, tanti doni. Alcuni ingombranti, alcuni piccini, alcuni complessi, alcuni banali. Senza conoscere a fondo un bambino è complesso fare un regalo “azzeccato”!

Girando per negozi, sento nonni, zii, amici, farsi consigliare dai negozianti indicando l’età del bambino, come se questo servisse a rappresentare i suoi bisogni, interessi , gusti…

Quando guardo le indicazioni sui giocattoli, mi stupisco delle età consigliata sulla confezione: puzzle dai 2 anni che io non regalerei fino ai 3, giochi “indicati” dai 3 anni che io offrirei molto prima.

Il livello di competenza di ciascuno nello svolgere un’attività dipende dagli stimoli che ha ricevuto fino a quel momento, dal resto del materiale che possiede, dai suoi interessi, dall’ambiente educativo che frequenta.

Come comportarci allora?

Quando dobbiamo scegliere un regalo:

quando facciamo un regalo ad un bambino che conosciamo poco non limitiamoci a scegliere un regalo adatto ad un bambino della sua età, ma cerchiamo qualcosa di bello, educativo, che possa offrirgli un’esperienza formante ed appagante anche se magari non lo potrà utilizzare subito. Chiediamoci: il materiale utilizzato per realizzarlo è bello? qual è lo scopo del gioco? cosa può insegnargli? optiamo per esperienze educative, più che di intrattenimento. Lo aiuterà ad affinare l’utilizzo della mano (come tutti i giochi per infilare)? ad orientarsi nello spazio (come puzzle ed incastri)? a conoscere i colori o gli animali (libri o giochi con le carte)? Optiamo per giochi che si presentino ordinati: facilmente comprensibili nell’utilizzo, pochi colori, disegni “puliti” ovvero semplici, realistici. Un materiale ordinato potrà dare di più di un materiale confuso, troppo ricco ed iper-stimolante. I bambini amano la semplicità. La semplicità, la pulizia e l’ordine del materiale facilitano la concentrazione e quindi l’apprendimento.

Quando il nostro bambino riceve un regalo:

E’ responsabilità dei genitori valutare il dono ricevuto. Il mio bambino è già pronto per trovarsi nell’ambiente questa attività? E’ troppo semplice? Troppo complessa? se ciò che abbiamo ricevuto non è adatto, non deve entrare nella sua stanza obbligatoriamente! A volte un dono può essere riposto e mostrato al bambino quando sarà pronto per utilizzarlo. A volte dobbiamo apportare delle modiche: il gioco è bello, ma ha bisogno di un contenitore per essere riposto ordinatamente oppure deve essere semplificato.

Facciamo un esempio: Nina, che ora ha 4 anni e mezzo, ricevette due anni fa una scatola puzzle delle principesse che conteneva 4 puzzle diversi dal più semplice (10 pezzi grandi) al più complesso (25 pezzi piccoli). Le immagini da ricomporre erano difficilissime! Le prime volte faticavo io… Immagini dense, confuse, ricche di particolari, cani viola in mezzo a principesse, pony, alberi…. Non essendo Nina ancora un’esperta di puzzle (non le interessavano molto) era inutile offrirle questo materiale. Così l’ho conservato nell’armadio per un po’.. Un pomeriggio di qualche mese più tardi, proposi a Nina di ricomporre il primo puzzle, il più semplice. Lo avevo isolato dagli altri e riposto dentro una scatola. Avevo stampato una foto del puzzle completato (da me) che potesse aiutarla nell’orientamento. Con fatica, ed il mio aiuto, riuscì a completarlo. Gradualmente introdussi anche gli altri puzzle, l’ultimo l’ha fatto settimana scorsa!

Il regalo non era sbagliato, era in anticipo per Nina magari sarebbe stato adatto per un altro bambino appassionato ed esperto di puzzle!

Maria Montessori definiva l’adulto curatore dell’ambiente, egli ha la responsabilità di offrire al bambino un ambiente ricco, ordinato, interessante dove possa trovare materiali che lo possano richiamare ed educare.

Cari genitori, questo Natale selezioniamo, controlliamo, adattiamo ciò che offriamo ai nostri bimbi, così come facciamo la spesa accertandoci di ciò che compriamo per nutrire il suo corpo, con uguale attenzione nutriamo la sua mente!

Buon Natale a tutti!

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Sbucciare il mandarino!? Non sono capace!!

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In una scuola dell’infanzia, offrendo un mandarino con buccia a ciascun bimbo presente, assisto ad una scena che mi fa riflettere.

Tutti i bambini, ricevuto il mandarino, abbassano lo sguardo e sussurrano: “ma io non so sbucciarlo!”. La maestra presente li sostiene confermando: “si, non sono capaci.”

Io provo a dir loro che non è così, che secondo me ce la possono fare e chiedo loro di provare.

Non percependo entusiasmo distribuisco ugualmente i mandarini e pretendo che ci provino. Inizio la sbucciatura per tutti, incidendo con l’unghia la buccia, perché quello è l’ostacolo maggiore per svolgere l’attività.

Tutti, compresa la più piccola di 2 anni e mezzo, ci riescono, ovviamente.

Non avevo dubbi.

Ad essere perplessi erano proprio i bambini.

Erano rassegnati all’idea di non essere capaci, senza per questo sentirsi a disagio o dispiaciuti. Ciò che mi ha colpito è stata la mancanza di voglia di provarci, la mancanza di interesse per “fare da soli”.

Sono convinta che genitori, educatori, nonni abbiamo il dovere e la responsabilità di non lasciar credere ai bambini d’essere incompetenti.

Dovrebbero invece fare attenzione a che non si spenga in loro la fiammella della curiosità (come la definiva Montessori) e della gioia di scoprire e conoscere.

I bambini si tutelano abolendo il giudizio e non limitandosi ad insegnare, ovvero mettere dentro, ma volendo educare, ovvero tirar fuori, dando spazio al desiderio, alla curiosità e alla passione, che l’adulto dovrebbe “solo” tutelare.

Un bambino è capace a fare qualcosa quando compie l’azione al massimo delle sue possibilità, che ovviamente, non corrispondo alle nostre. Che non sappiano vestirsi alla perfezione, con la pulizia gestuale che è propria dell’adulto, non significa che non sappiamo vestirsi; che si lavino le mani non sciacquandole a sufficienza non vuol dire che non sappiamo farlo.  Significa invece che hanno necessità di fare esercizio, di ricevere consiglio sulla precisione da impiegare, sulla gestualità da compiere, sulle attenzioni necessarie per eseguire meglio.

Il loro agire è migliorabile, certo, come il nostro del resto. Potranno farsi maggiormente abili se avranno la possibilità di provare, sbagliare, esercitarsi e sfruttare i consigli che riceveranno.

Quando versandosi l’acqua con la brocca, toccando il bordo del bicchiere rovesceranno l’acqua della tovaglia, non diciamo loro che non sanno versarsi l’acqua da soli, ma mostriamo loro dove è stato l’errore, riconoscendogli comunque la competenza.