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Mamma, mi racconti che voglio dare un calcio alla Lea?

IMG_9303La nostra bimba di quasi tre anni, ha una sorella di quasi 6 mesi.

L’addormentamento l’abbiamo sempre gestito alternativamente io e il papà. Mamma o papà è uguale.

Nata la piccola, giustamente, la mamma è diventata un po’ più preziosa perché condivisa e quindi a volte addormento Nina, a fianco del suo letto, con coccole e canzoni e la piccola sta con papà.

A volte però, la mamma è necessaria per entrambe e così  accompagno Nina al sonno allattando Lea.

Ieri sera, in preda alla stanchezza e alla gelosia un po’ piagnucolando, esorta: “Adesso do un calcio alla Lea!!!!!”.

Non l’ha fatto, ha saputo resistere alla tentazione forse perché troppo stanca o perché conscia che non sarebbe cambiato nulla, anzi, in quel modo oltre a ciucciare la tetta avrebbe anche pianto a squarciagola!

Dopo qualche minuto di silenzio e due carezze della mamma, singhiozzando, mi chiede:

“Mamma mi racconti che voglio dare un calcio alla Lea?!”

“Certo, amore.”

Questa richiesta è da leggere come il desiderio di comprendere i suoi sentimenti e la consapevolezza di non saperlo fare da sola.

Attraverso la mia narrazione dettagliata della situazione, si è tranquillizzata e addormentata sorridendo.

“La tua sorellina è piccola, non può aspettare la mamma se ha fame, come invece sai fare tu che se un po’ più grande! Anche tu quando eri neonata appena chiamavi la mamma accorreva velocissima, non potevo farti attendere! Ora le mie parole riescono a consolarti, a volte, vero? altre volte, invece, devo prenderti in braccio e coccolarti tanto tanto! Tra un po’ di tempo Lea crescerà e saprà stare un po’ più di tempo lontana da mamma e sarà felice di stare anche sola con il papà! Anche a te piace stare con papà vero? ecc.”

La narrazione degli eventi quotidiani può rivelarsi molto utile per aiutare il bambino nella rielaborazione dei vissuti e delle proprie emozioni, una sorta di analisi degli eventi che può chiarire sentimenti, accadimenti del bambino stesso e degli altri che vivono con lui: la scuola, la visita dal dottore, il lavoro di mamma e papà, la visita alla nonna, la gita sulla neve!

Oltre alle storie classiche, la lettura dei libretti, spesso è molto gratificate e piacevole per il bimbo sentirsi raccontare semplicemente la propria giornata o ciò che accadrà domani o la gita che abbiamo in programma per il fine settimana!!

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Perché vuoi il mio aiuto?

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Fermarsi all’apparenza della manifestazione comportamentale del bambino, ci conduce spesso a fraintendere la vera motivazione che lo spinge ad agire.

I bambini, in piena formazione, stanno imparando a dare un nome ai loro sentimenti, ma ancora non sono “esperti”, a volte faticano a riconoscere la rabbia, la noia, la gelosia, la nostalgia, la stanchezza e vestono queste strane emozioni senza nome con comportamenti che conoscono molto bene: “Mamma mi aiuti a disegnare?” può celare una necessità relazionale profonda e non bisogno di aiuto a svolgere l’attività. Potrebbe essere gelosia, il bimbo vorrebbe ricevere lo sguardo della mamma, magari impegnata con un fratellino. Oppure semplice bisogno di affetto e di attenzione.

Questo non significa che non debba riceverne, anzi dovremmo offrirgliene ancora di più e aiutarlo nella lettura dei suoi sentimenti.

Disegnando con lui potremmo dirgli: “Stiamo bene insieme?” “Avevi tanta voglia di fare qualcosa con la mamma?” Dopo qualche tempo potrebbe riuscire a dirci: “Mamma stai un po’ con me?”.

Un bimbo di due anni, ad esempio, abilissimo nel mangiare autonomamente, una sera chiese: “Papà mi imbocchi?”. Il papà, strabuzzando gli occhi, rispose “Ma certo che no! sei bravissimo da solo!”. Il bimbo scoppiò a piangere, smise di mangiare e chiese di essere preso in braccio. Il padre insistette a non aiutarlo, continuando a sostenere quanto il bimbo fosse bravo, grande, autonomo. Ma il problema era proprio questo: essere grande, bravo e autonomo.

Per un attimo voleva essere piccolo, dipendente e impacciato proprio come la sua sorellina di pochi mesi in braccio alla mamma!

Il bimbo ha cercato una modalità comunicativa con cui aveva confidenza (chiedere di essere imboccato) per esprime un’emozione. Era troppo piccino per poter dire: “ Papà sono geloso, voglio anch’io essere piccolo come lei e stare in braccio alla mamma, ma siccome lei è impegnata, non è che mi coccoleresti un po’ tu?”.

Non essendosi sentito compreso, il bimbo scese da tavola, con gli occhi bassi, rassegnato.

Il padre a questa reazione concluse con: “Se non hai più fame, mangerai domani!”.

Come potrà sentirsi il bambino? Cosa può aver compreso da questa situazione?

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Le sfumature del “NO”

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“Non si può sempre dire si! Bisogna anche   imporsi…”

“Quando è no è no. Punto e basta! non voglio sentire discussioni! E’ chiaro?”

Sembra che il genitore debba convincere se stesso che il “no”che va dicendo sia sensato. Se la decisione di imporre un limite è meditata con cura, misurata e giustificata si deve procedere fino in fondo con amore, fermezza e un gentile sorriso. Perchè l’adulto dice “no”  con la faccia scura, urlando e senza la minima cordialità e gentilezza? A volte perchè è lui il primo a non essere certo di ciò che fa e dici e spera così di essere più credibile e convincente…

In questo caso è scontato che il bambino non potrà sentirsi a suo agio…

Quello che invece è importantissimo è valutare con attenzione la reale necessità del limite che intendo imporre. Quando la decisione è presa bisogna procedere con fermezza: niente eccezioni, niente sconti, ma ordine chiarezza e sicurezza. Quando diciamo no, insomma, dobbiamo esserne sicuri e convinti, sapere precisamente il perchè lo stiamo facendo riuscendo a dare una spiegazione reale e comprensibile. Il tutto usando un tono calmo e dolce che rassicuri e non che intimorisca, che calmi e non che agiti. Accogliere il bambino significa aiutarlo nella gestione delle frustrazioni, delle difficoltà, del superamento degli ostacoli. Ogni volta che diciamo “NO” abbiamo occasione per esercitarci ad essere sempre più accoglienti. Se il bimbo si sta mettendo in una situazione pericolosa per se stesso, per l’ambiente o per un’altra persona noi dobbiamo per forza intervenire. Ma un intervento irruento, violento, urlato, non può che generare una reazione simile: irruenta, violenta, urlata. Se desidero che il bimbo si fermi, rallenti, sia cauto, sia concentrato, dovrò avvicinarmi a lui esattamente con questo spirito: con cautela, calma, gentilezza, sussurrando, aiutandolo e fermando la sua mano (o il suo piede..) con dolcezza se la mia parola si rivelasse insufficiente.

In aggiunta a ciò devo andare fino in fondo, sempre.

Se intervengo per interrompere un’azione o impedire che avvenga il motivo è serio. Così devo far rispettare questa volontà accettando ed accogliendo qualsiasi reazione, senza giudicare, commentare:

un bambino che piange, abbracciato da mamma e papà, comprendendo il perchè del suo pianto, sentendosi amato, accolto e rispettato, non è un bambino frustrato, confuso e sofferente, ma “semplicemente” un bambino che sta crescendo….